mercoledì 30 aprile 2025

Trekking sull’Etna - 30 aprile/4 maggio 2025

30 aprile - trasferimento Padania - Sicilia

Ed eccoci di nuovo, con l’arrivo della primavera, al trekking proposto da me e Nadia per la nostra amata sezione di Varese del Cai.

Non è mai ben chiaro come si arrivi alla decisione di proporre una meta. Io e la mia socia Nadia buttiamo lì un po’ di idee e poi, senza grandi conflitti, giungiamo velocemente ad una proposta.

Il 2025 offre dei ponti molto interessanti. Noi abbiamo scelto quello del 1 maggio e siamo riuscite a ritagliarci 5 giorni, anche perché arrivare in Sicilia, anche in aereo, “ruba”, tra andata e ritorno, due giorni.

Questa volta abbiamo deciso di affidarci alle guide dell’Etna, che ovviamente conoscono bene il territorio e ci possono portare in cima al vulcano, se La Madre lo permette. Giusto ieri ha deciso di risvegliarsi un po’ e stamattina abbiamo rischiato che chiudessero lo spazio aereo sopra Catania. Aereo in ritardo ma è atterrato dove sperato.

Atterrati in Sicilia, dopo una arancina gustata in piedi, ma cmq ottima, nella hall dell’aeroporto, un simpatico pulmino ci preleva, si allontana da Catania e poi inizia prima ad andare verso nord e poi a salire sul versante. Ci inoltriamo decisamente in un bosco che diventa sempre più montano che sembra di essere in una foresta alpina, piuttosto che a un passo dal mare siciliano. Alla fine giungiamo allo Chalet Clan dei Ragazzi, un bell’alberghetto con una serie di casette distribuite nel bosco, dietro l’edificio principale.

Visto che abbiamo tempo, facciamo nel pomeriggio una piccola passeggiata e già ci inoltriamo verso quella che viene chiamata colata lavica del 2002. Sulle mappe dell’Etna i territori vengono identificati con le date delle eruzioni.

La cena stasera è buona e abbondante e i gestori sembrano molto cordiali e soprattutto molto giovani e motivati.

1 maggio

Piano Provenzana/Grotta dei Lamponi/ Passo dei dammusi/Chalet clan dei ragazzi 

Dislivello positivo 400 mt. - Circa 16 km.

Alle 8.30 ci raggiunge allo chalet Gio, la nostra guida. Fin da subito appare come una guida molto appassionata, oltre che molto competente. Si presenta dicendo che non è mai uscito dall’Etna, nel senso che non solo non è mai uscito dall’isola e non ha mai preso un volo, ma non hai mai neanche visto il resto della Sicilia! Oltre a fare la guida fa anche il fotografo e nel corso della giornata ci farà vedere delle immagini spettacolari del vulcano e ovviamente delle sue eruzioni.


La giornata di oggi è stata una esperienza eccezionale non solo per l’Etna ma per la sua conduzione della gita.

Innanzitutto oggi ho focalizzato che noi siamo sul versante nord e che fare la gita sul versante sud sarebbe stato completamente diverso. Il sud è il versante molto più turistico e affollato perché c’è il rifugio Sapienza e soprattutto la funivia. Al nord invece non ci sono impianti di risalita. Ci recupera un pullmino che sembra uscito da una caserma militare, non solo per il colore ma x le dimensioni gigantesche. Mi dicono abbia 7000 non so cosa di cilindrata, va dappertutto e viene fatto solo su ordinazione. Il mezzo ci porta fino a Piano Provenzana (1800 mslm) da dove partono le escursioni, la maggior parte di queste sempre col mezzo meccanico. Qui sotto siamo alla partenza con la nostra guida Gio. Tira un vento forte e freddo.


Noi ovviamente, recuperato il casco che ci servirà dopo, proseguiamo a piedi e risaliamo la colata lavica. Questa è la zona della colata lavica del 2002 che ha sommerso un albergo (si vede un tetto che fuoriesce) e kmquadrati di foresta. Nel corso dei secoli l’Etna ha sommerso paesi, città (Catania mai completamente), vigneti, coltivazioni, impianti di risalita. Non ha risparmiato nessuno. Solo una volta, qualche anno fa, sono riusciti a deviare una colata che stava raggiungendo Zafferana Etnea grazie ad una carica esplosiva.

Innanzitutto il territorio dell’Etna sono 12mila km quadrati, ha 4 crateri sommitali e 270 crateri laterali, che si trovano quindi lungo il pendio, deviazioni dal canale principale che è quello che porta il magma ai crateri sommitali. Alcuni risalgono anche a secoli fa e quindi sono ormai riempiti dalla foresta, altri sono più recenti e quindi sono lava solidificata (anche se dire così è ridondante perché il magma è quello ancora sottoterra, quando esce diventa lava e con l’aria diventa solida, appunto). Nel corso della giornata attraversiamo non solo la colata del 2002 ma anche quella del 2023, quella del 1879 e quella del 1600 e qualcosa, che durò 10 anni, la più lunga registrata.


Nel frattempo il cratere che vediamo dalla nostra posizione continua a fumare. Nel cielo non c’è una nuvola. Vediamo senza problemi, anche se non è limpido, la Calabria e alcune delle isole Eolie. Dopo un po’ vediamo lo Stromboli, da vulcano a vulcano. Intanto il nostro percorso prosegue su e giù per le colate laviche, colate che però sono inframezzate dalla vegetazione che, in molti punti, diventa straordinaria: faggete, pinete, ginestre giganti, qualche betulla. Unica accortezza che dobbiamo avere è non calpestare o toccare la processionaria. Purtroppo qui c’è una invasione e, con vena polemica, Gio dice che le guardie forestali (6-7 mila) non bastano per sanare i boschi…


Dopo la pausa pranzo il sentiero ci porta alla grotta dei Lamponi, una grotta di scorrimento lavico, al cui interno sono evidenti i segni sulle pareti lasciati dalla lava che scorreva.


Qui ci serve un caschetto e una guida e noi siamo attrezzati!


Usciti dalla grotta, che presenta anche due buchi sul “soffitto” con apertura verso il cielo azzurrissimo, riprendiamo il sentiero che ci conduce, in un paio d’ore, al nostro rifugio. Nel frattempo il cratere continua a fumare, e verso sera fuma di più…




2 maggio
Altipiano dell’Argimusco - bosco di Malabotta - Gola di Alcantara
Dislivello positivo 250 mt - negativo 700 mt - km. 11
Oggi ci allontaniamo dall’Etna anche se ce l’avremo sempre davanti. La destinazione odierna  è i monti Nebrodi da cui si ha una vista del vulcano e di alcune delle più importanti colate degli ultimi anni. Evidenti sono infatti le strisce nere in mezzo alla vegetazione verde. Una volta raggiunti i Nebrodi col pullmino, la prima meta sono i megaliti dell’Argimusco, delle conformazioni rocciose che hanno una origine antica anche se non ben chiara. Notevole da qui la visuale verso il mare, la costa e le isole Eolie. 


Dopo una esplorazione di questo sito e un incontro con una simpatica capra che continua a seguirci, torniamo al pullmino che ci porta all’ingresso del bosco di Malabotta e in particolare del sentiero dei patriarchi. 


Ci inoltriamo in questo fantastico bosco di querce, alcune di queste sembrano uscite da una fiaba che a volte sembra incantata, a volte mi ricorda la foresta dei suicidi di Dante. Sembra che qui abbiano girato anche qualche scena di Harry Potter. 


Oggi siamo a quota più bassa, circa 1200 mt., quindi la vegetazione offre molte più fioriture, un sacco di fiori gialli di vario tipo (ginestra, ranuncolo, margherite), ciclamini, peonie, ecc.
Usciti dal bosco, ci recupera il pullmino che ci porta all’ultima tappa di oggi, le gole dell’Alcantara. Qui scendiamo una scalinata per giungere al fiume Alcantara che ha creato delle gole che purtroppo non si possono risalire; forse in estate, quando la corrente non è forte come oggi. Innanzitutto c’è rischio caduta massi e poi abbiamo giusto il tempo di rinfrescarci i piedi. Dobbiamo correre a Linguaglossa a recuperare gli arancini e le cipolline che abbiamo ordinato per l’aperitivo di stasera.
L’aperitivo voleva anche essere il momento in cui avremmo salutato la nostra guida Gio, ma forse l’abbiamo convinto ad accompagnarci anche domani.
Giornata immersiva nella natura. Gli occhi si cono riempiti di colori e il naso di odori. L’Etna non ci ha mai lasciato. Da lontano continuava col suo fumo a ricordarci che lei (l’Etna è donna, madre, idda) è sempre là…

3 maggio
Creste sommitali (3300 mt), dislivello positivo 500 mt.
Oggi è il grande giorno. Se il vulcano ce lo concederà, saliremo fino in cima.
Ci recupera il solito pullman gigantesco, costruito apposta x poter salire fino a certe quote su strade sterrate impossibili. A Piano Provenzano (quota 1800 mt) espletiamo le faccende burocratiche x salire, compreso recuperare il caschetto. Risaliamo quindi sul mezzo corazzato e raggiungiamo quota 2800. Oggi come guida abbiamo sempre Gio ma siamo aggregati ad un gruppo di tedeschi accompagnati da Biagio, il grande capo della agenzia che ci ha organizzato questi giorni per noi e che porta da sempre (prima di lui il padre) la gente sull’Etna. Sarà sua l’ultima parola rispetto a salire o no.
Biagio ha deciso di fare con noi un giro che non fa mai, cioè fare un percorso con uno sviluppo molto più lungo ma che ci permette di salire sul cratere nord-est e di scendere dall’altra parte, chiudendo un anello molto bello.


Salendo incontriamo moltissima neve, anche se in parte è coperta dalla terra nera. Dopo circa tre ore di salita arriviamo su questo enorme cratere da cui esce molto fumo, che però non ci impedisce di vedere la profondità e la maestosità del cratere nord-est.



Fino al 1911 sull’Etna c’era solo un cratere. Poi sono iniziate delle eruzioni  e nel tempo intercorso tra il 1911 e il 1971 i crateri sono diventati 4. Anche adesso Gio dice che il paesaggio cambia continuamente e così l’altezza del vulcano (a seconda del cratere che in quel momento è più alto perché del materiale eruttivo l’ha alzato) o il cratere che in quel momento diventa la vetta più alta. La guida stessa ogni anno vede e quindi porta gente su un vulcano che ogni volta è diverso. Ora si capisce come mai ad esempio Gio sia così legato a questa montagna e continui a salirci: perché ogni volta è un posto diverso.

Biagio ci concede di stare sul cratere il tempo necessario a fare foto, sentire qualche botto proveniente dal basso, respirare un po’ di zolfo e altri gas (il radon, ecc.) e ridiscendere dall’altro versante, guardando però da lontano (al momento non sono accessibili) gli altri crateri: la voragine, bocca nuova e cratere di sud-est.



Sul versante da cui scendiamo c’è molta neve coperta da polvere nera. Una volta scesi, possiamo mangiare abbastanza tranquillamente, anche se sull’Etna non si può mai stare tranquilli. Troviamo però il tempo di brindare con un fantastico liquore al pistacchio portato dal nostro Gio.


Prima del bus il sole ha un alone che fa uno strano effetto. Provo a fare una foto.


Raggiunto il mega-bus torniamo a Piano Provenzana dove salutiamo Gio e Biagio, i nostri eroi del giorno, e riprendiamo il bus per tornare allo Chalet. Il tempo di cambiare le scarpe e un’altra avventura ci aspetta: la degustazione in cantina dei vini dell’Etna.
La cantina si chiama Generazione Alessandro ed è una generazione di viticoltori che proviene dalla zona di Palermo e ha deciso di coltivare le viti anche nella zona dell’Etna dove, grazie al vulcano, il terreno è fertilissimo. Peraltro il disciplinare vieta di innaffiare le piante, come a Pantelleria. Qui il terreno coltivato non è estesissimo e le viti sono piantumate dal 2015, quindi molto recentemente. 
Ci accoglie Alessia, una ragazza padovana che sta studiando per diventare sommelier. Ci spiega il metodo di coltivazione di questo vitigno e poi ci introduce nella casa dove si trovava la vecchia pressa, ancora visibile. Una volta questo era un rudere (si vede nella foto qui sotto), adesso ci sono due bellissime sale dove hanno allestito i tavoli su cui noi assaggiamo i loro vini (un bianco, un rosato e un rosso), accompagnati da una caponata eccezionale e delle bruschette con un semplice ma buonissimo olio. Per quello che ci capisco io, i vini sono ottimi, a me non piace il rosso (de gustibus… ma non vado pazza x i rossi).


Dopo avere ordinato il vino, raggiungiamo l’ultimissima tappa di oggi: la pasticceria Barone di Linguaglossa dove molti comprano una quantità industriale di pasta di mandorle da portare a casa.
Ma il viaggio di ritorno ci riserva una parentesi di antropologia siciliana eccezionale! Il nostro autista è il proprietario della azienda di trasporti che possiede tutti i mezzi che abbiamo usato in questi giorni.
Inizia con il classico discorso che lui è il capo ma chi comanda è la moglie. Il racconto di come hanno dato il nome al secondo figlio è eccezionale: doveva chiamarsi Charlie (il primo si chiama Christian). Poi hanno preso un cane e allora quel nome l’hanno dato al cane. Quindi il nome del figlio l’hanno fatto scegliere al primogenito. Un pezzo da cabaret è poi il racconto di come sono arrivati in casa tutti gli  altri cani!
Tutto questo mentre un tramonto colora il cielo di giallo e chiude questa incredibile giornata. Per quanto fugace, arrivare in cima a questo monte che da sempre regola la vita di tutte le popolazioni che vi abitano attorno è stata una emozione difficile da descrivere, perché è stata unica, proprio in senso letterale. Se ci andrò un’altra volta, sarà diverso perché quel posto probabilmente non esisterà più, non sarà più come l’ho visitato oggi.

4 maggio
Giorno del ritorno. Oggi sembra che tutto il mondo sia a Catania. C’è una gara ciclistica, per cui molte strade sono chiuse, c’è una manifestazione aerea e questo pomeriggio ci saranno le frecce tricolore e anche la Amerigo Vespucci a Catania.
Ma noi stazioniamo in aeroporto in attesa di partire, non sappiamo bene a che ora perché chiudono lo spazio aereo per le frecce…
Aggiornamento. Dalle 17 alle 18 lo spazio aereo è chiuso e quindi l’aereo parte in ritardo. Mentre salgo sull’aereo vedo lo stormo delle frecce che passa sopra l’aeroporto e lontano vedo ancora i colori del tricolore che si stanno dissolvendo. Poi passano di nuovo in formazione e le vedo dal finestrino dell’aereo.
Scusate la retorica ma prima ho letto un articolo sulla manifestazione di oggi scritta su un giornale siciliano che sembrava uscito dall’Istituto Luce del ventennio…”dipingerà nel cielo l’orgoglio nazionale, esempio concreto dell’efficienza e della reattività della Difesa Aerea italiana, legame profondo tra il cielo e la comunità”, un attimino roboante…
Qui sotto il fantastico gruppo di persone che ha dato vita a questi incredibili giorni siciliani!

Bibliografia: “la montagna di fuoco- Etna: la madre” di Leonardo Caffo, ed. Ponte alle grazie







sabato 24 agosto 2024

Trekking Friuli 23-26 agosto 2024



Venerdì 23 agosto

Questa estate è destino che le mie vacanze vengano fatte nelle zone della prima guerra mondiale. Dopo la settimana in Dolomiti il trekking di fine agosto del Cai Varese si orienta verso le Alpi Carniche in Friuli-Venezia-Giulia, sopra Sappada, comune che fino al 2017 era in Veneto; dopo un referendum è entrato nella provincia di Udine. 

Siamo un gruppo di 21 persone del Cai Varese. Il capo gita, organizzatore di questo giro, è Federico Piatti. Lo scrivo primo perché non è un trekking organizzato da me e secondo perché so che lui ci tiene a essere citato su questo blog…

Essendo la meta finale molto lontana da Varese, abbiamo deciso di fare alcune tappe intermedie. La prima è l’autogrill Bauli in autostrada, all’altezza di Verona, dove ho modo di gustarmi un dolce della nota casa di dolci, il minutino. Consigliato.

La seconda tappa è Vittorio Veneto, dove abbiamo modo di visitare il museo della battaglia, cioè il museo che ricorda la battaglia di Vittorio Veneto, l’ultimo scontro tra Italia e Impero austroungarico prima della fine della prima guerra mondiale, nel 1918. I primi due piani del museo sono di moderna concezione, con molti reperti ma anche molti filmati e testimonianze. Il terzo piano invece è un avanzo del museo fatto negli anni trenta. Comunque interessante.


La terza tappa è Longarone e la diga del Vajont. Inutile dire che guardare la diga vuota e il pendio del fiume Toc colpisce. Però mi ha ugualmente stupito l’idea che si possa costruire una forma di turismo (visite organizzate con guide, ad es) attorno ad una tragedia come quella del Vajont, mi lascia perplessa. Che tipo di turismo è? Ha senso in questo caso il turismo della memoria (non so se esiste questo termine, mi è venuto in mente adesso)? Io sono andata due volte ad Auschwitz, ho ammirato lo spettacolo di Paolini sulla tragedia del Vajont. Un luogo della memoria dovrebbe essere un luogo che ha cambiato quello che siamo adesso. Molti luoghi hanno assunto questa funzione. Vale anche per il Vajont? Sicuramente è stato un evento simbolico che ha lasciato il segno nell’Italia del boom economico del 1963. Non voglio che capiate male. Non nego che questa sia una tragedia che è necessario ricordare e così tutte le circa 2000 vittime. Visitarla però mi ha lasciato stranita…

Ho trovato una riflessione interessante in un articolo che mi ha mandato Piera (peraltro presente al trekking). Questo articolo parla di (trascrivo) “quello sbarramento grigio-ocra, che, oltre ad aver strappato la vita a 2018 persone, simboleggia la tracotanza di un pensiero che, in nome del progresso, rade al suolo paesaggi e società. Impone dall’esterno, omologa senza preoccuparsi delle peculiarità locali”. L’articolo parla anche della giornalista Tina Merlin che (trascrivo ancora): “forse l’unica, ha avuto la forza di combattere contro la costruzione della diga; contro un sistema prepotente…”. 




L’ultima tappa è finalmente il parcheggio a 1850 metri, sottostante il Rifugio Calvi (2164 metri), vicino alle sorgenti del Piave.


Con un’ora di cammino raggiungiamo l’edificio, posto in una posizione molto bella e circondato dalle cime che faremo nei prossimi giorni. Il tempo di sistemarsi in camera ed è ora di cena.

Sabato 24 agosto

Dopo esserci consultati con il rifugista, oggi decidiamo prima di dedicarci al Monte Avanza (mt. 2489) che raggiungeremo a piedi. Il percorso prevede una serie di saliscendi e di scollinamenti, con alcune parti di sentiero un po’ esposto e in alcuni tratti molto scivoloso, ma niente di tragico.


Saliti in cima arrivano le nuvole e ci tolgono la visuale sulla vallata, che probabilmente è stupenda.


Scesi di nuovo al passo cacciatori decidiamo che abbiamo anche le energie per affrontare la ferrata del Monte Chiadenis (mt. 2459) o ferrata del Cai Portogruaro. Saliremo  dalla ferrata conosciuta anche come Via di Guerra o ferrata delle Trincee. La salita non è per nulla banale e richiede attenzione, anche se non è particolarmente esposta (la foto qui sotto fa immaginare peggio). La via di discesa è ugualmente una ferrata, e quindi bisogna disarrampicare. È molto lunga e alla fine la giornata è stata molto impegnativa  a livello fisico; arriviamo al rifugio tutti abbastanza stanchi.



Domenica 25 agosto

L’obiettivo di oggi è il monte Peralba a 2694 mt., una della cime che contornano il rifugio Calvi. Dopo un tratto di avvicinamento, approcciamo la ferrata Sartor che ci porterà quasi in cima. Non è una ferrata molto lunga, mediamente impegnativa; non ha tratti particolarmente esposti ed è più aperta rispetto a quella di ieri, che aveva qualche canalino in cui ci si incastrava facilmente.


Usciti dalla ferrata ci sono circa 200 metri per arrivare alla cima, tutto su pietraia, che io trovo faticosissimo fare… in cima ci sono ben due croci e la Madonna, perché nel 1988 qui salì Papa Giovanni Paolo II. Infatti è conosciuto come il sentiero del Papa. C’è anche una campana che suoni quando arrivi. 


La discesa è la parte più divertente… per modo di dire, perché la discesa è quasi più faticosa della salita, e forse anche più pericolosa. Guardando dal basso, il canale da dove siamo scesi fa abbastanza impressione. Usciti da quel sentiero raggiungiamo una caserma abbandonata, probabilmente della finanza, che si trova sotto una cima minore che raggiungiamo in 10 minuti, la cima del monte Oregone (mt. 2385).

Dall’altra parte della vallata c’è l’Austria e sotto la caserma c’è il cippo del confine. Ad un certo punto del sentiero raggiungiamo un punto che interseca tutti e tre i confini: friulano, Veneto e austriaco.

Un bel sentiero in costa ci riporta al rifugio. E anche oggi la giornata è stata molto fruttuosa e soprattutto, a differenza di ieri, il meteo ci ha permesso di vedere tutto il bellissimo ambiente circostante.

Lunedì 26 agosto

Oggi è il giorno del rientro. Partiamo dal rifugio con calma ma non tardi perché abbiamo tanta strada da fare e prima abbiamo un paio di tappe da fare.

Salutiamo i rifugisti che ci hanno coccolato per tre giorni, soprattutto i cuochi, che hanno cucinato molto bene e molto abbondante, e la nonna, cioè la prima di tre generazioni che hanno gestito il rifugio nel corso del tempo, tanto che le giovani cameriere la chiamano nonna anche se non sono le nipoti.


Prima di arrivare al parcheggio facciamo una piccola deviazione che ci porta alle sorgenti del Piave, anche se ieri sera abbiamo scoperto dalla nonna che il Piave sgorga dalla roccia in prossimità del rifugio e l’acqua che abbiamo usato e bevuto in questi tre giorni è il Piave. Visitiamo comunque la sorgente ufficiale, giusto perché questo è il fiume sacro alla patria, teatro dell’offensiva finale del regio esercito contro gli austriaci nel 1918.


Raggiunte le macchine scendiamo verso l’abitato di Sappada. In particolare visitiamo la parte antica del paese, con le tipiche case arricchite di decorazioni di legno, affreschi, fiori, ecc.; ma qui il nostro obiettivo è anche fare shopping nella latteria di Sappada, dove compriamo formaggi e salumi tipici della zona.

Prima di andarcene da Sappada l’equipaggio della mia auto (cioè quella di Elio) decide di visitare il piccolo museo della Grande Guerra, una piccola stanza con alcuni dei tanti reperti recuperati dopo la fine della guerra tra le montagne.



Sulla via del ritorno decidiamo di sostare per pranzo in zona, giusto per fare l’ultimo pasto tipico della vacanza… Invece capitiamo in una zona industriale all’interno di una mensa aziendale frequentata dai dipendenti delle fabbriche della zona. La cosa più tipica che hanno è la birra di Udine… non proprio una degna conclusione di questa bellissima esperienza che ci ha visto visitare una zona a noi sconosciuta, salire su montagne molto dolomitiche ma senza tutti gli svantaggi delle Dolomiti.







venerdì 19 luglio 2024

L’Alta Via num. 1 delle Dolomiti - 19-27 luglio 2024



Quest’anno nessun Tour ma una percorso escursionistico tra i più classici, l’Alta via numero 1 delle Dolomiti. Parte dal Lago di Braies e arriva a Belluno. Di questi 125 km noi ne faremo solo una parte.

19 luglio

Per arrivare in questa zona delle Dolomiti orientali abbiamo fatto il giro largo e previsto una logistica un po’ complicata. Federica e Roberto sono già in zona da un paio di giorni. Mauro ed Eleonora sono al mare a Caorle e raggiungeranno me e Inga che oggi in treno abbiamo raggiunto Lubjana, capitale della Slovenia. Partiti da Milano alle 7.45, siamo arrivati a Trieste puntuali alle 12.40 circa, per poi partire alla volta di Lubiana, con un treno austriaco diretto a Vienna, treno che ha fatto non poche fermate e quindi ci ha messo quasi tre ore.


Usciti dalla stazione la prima meta è l’ostello, un paio di km a piedi verso la periferia. Per questa città ho scelto un ostello un po’ particolare e Inga ha deciso di assecondarmi. Da tempo ero incuriosita dai capsula hotel, tradizione che arriva dal Giappone dove lo fanno x questione di spazio. Le camere sono costituite da loculi completamente chiusi, senza finestre. Ho escluso le capsule dove ci si infila stile bara e ho scelto una camera dove ci sono due letti più o meno a castello con uno spazio veramente risicato per muoversi. Fortunatamente c’è l’aria condizionata 24h, altrimenti non si potrebbe starci. Per concludere l’atmosfera “loculo style”, per entrare in questo hotel bisogna scendere una scala perché tutto si trova sottoterra. Esperienza comunque interessante.



Dopo aver depositato i bagagli prendiamo il bus cittadino e andiamo in centro. Lubjana è una città molto vivace e il centro è molto stile austroungarico. La città è attraversata da un fiume che ha praticamente lo stesso nome della città che taglia in due il centro storico ed è caratterizzato da alcuni ponti molto carini e sovrastato da un castello. Oggi fa un caldo fotonico… in una bella piazza troviamo una serie di bancarelle di street food. Facciamo un giro e vediamo che offrono cose interessanti, devo dire soprattutto carnivore… ci orientiamo sui cinesi e decidiamo di cenare a noodles. Poi scopriamo che questo mercato viene fatto, da marzo a ottobre, solo nei venerdì di bel tempo. Quindi ci è andata molto bene.


La giornata è stata lunga e il caldo ci ha sfiancato. Così io e Maurizio alle 8.30 siamo in branda, nel loculo… domattina ci aspetta una lunga giornata…

20 luglio

Ci svegliamo ovviamente presto e così decidiamo di raggiungere il centro città a piedi. Dobbiamo cercare un posto dove fare colazione. Facciamo un po’ fatica, non sembra una cosa tradizionale. In effetti poi la guida ci dice che al mattino qui si beve solo caffè. Alla fine in un bar vicino al fiume troviamo un bar dove fare una colazione più che dignitosa. Alle 10 abbiamo appuntamento con Eleonora e Mauro e la nostra guida italiana, recuperata da un applicazione che si chiama guruwalk. Ci dirigiamo verso la piazza e li incrociamo seduti al bar.

Oggi il meteo dà pioggia e infatti il tempo di sedersi  e inizia a piovere. Convinco Inga a comprare un ombrello ciascuno e meno male… perché passeremo tutto il giorno sotto la pioggia, a tratti un diluvio.

La nostra guida si chiama Matteo, è un italiano di Firenze che vive qui da 13 anni (mi pare), cioè da quando si è sposato e poi divorziato con una slovena e ha deciso di fermarsi. In tutte le due ore che passeremo assieme ci farà una descrizione della Slovenia e soprattutto degli sloveni idilliaca: popolo pacifico, che non litiga mai, educato, non sporca, il più bravo d’Europa a fare la raccolta differenziata, ecologista, per nulla violento, delinquente o aggressivo. Ha un più alto numero di suicidi che di omicidi. Ha l’unico inno nazionale al mondo che non inneggia alla guerra ma alla pace. così dice Matteo.


La storia della Slovenia come nazione a sé è una storia molto recente. Dopo sei secoli di dominio austroungarico, si è ritrovata inglobata nella Jugoslavia per diventare indipendente nel 1991 dopo una specie di guerra civile durata 10 giorni, senza i drammi che hanno invece vissuto tutti gli altri popoli della ex Jugoslavia.

Una cosa che ho scoperto è che gli sloveni non si considerano un popolo balcanico, a differenza di tutti gli altri, essendo molto più orientato e legato alla storia austroungarica. Questo è anche dovuto al fatto che tutti gli altri popoli dei Balcani hanno subito l’occupazione turca, mentre gli sloveni, grazie all’esercito austriaco, li hanno sempre respinti.

Ho scoperto anche che questa è una zona sismica e Lubjana ha subito due grossi terremoti che l’hanno distrutta, l’ultimo nel 1895. Questo è anche il motivo per cui lo stile architettonico della capitale slovena è per lo più di fine 800-inizio 900, anche grazie ad uno degli eroi di questo popolo che è l’architetto Plecnik, che ha vissuto e lavorato appunto a cavallo di questi due secoli e che ha dato il volto a questa città.


Lasciato Matteo che, come richiesto dalla piattaforma guruwalk, chiede di essere pagato quanto noi riteniamo lui abbia meritato, giriamo ancora un po’ e poi andiamo a mangiare in un tipico ristorante. La pioggia continua incessante. Decidiamo quindi di lasciare la città, recuperare i nostri bagagli nell’ostello e andare al lago di Blend, a mezz’ora dalla città. È un bello specchio d’acqua, molto frequentato dai turisti. Facciamo una sosta e poi ripartiamo, questa volta in direzione Austria, dove dormiremo.


Innanzitutto attraversare l’Austria vuol dire guidare x km in mezzo alla foresta. Il nostro albergo è posto sulla ciclabile che costeggia la Drava, il fiume che attraversa questa valle. Qui c’è una pace e una tranquillità unica… abbiamo dei piccoli bungalow che sono dei gioielli. Anche la cena offerta dalla cucina è veramente ottima.



21 luglio
Salutiamo il nostro ospite austriaco dopo averci offerto un’ottima colazione. La nostra direzione è ormai l’Italia. Attraversiamo ancora per un paio di ore foreste e paesini ordinatissimi, paghiamo un pedaggio al confine per poter fare una galleria e finalmente entriamo in Italia. 
La prima destinazione è il lago di Braies, un bellissimo specchio d’acqua con moltissime gradazioni del verde. Oggi è domenica quindi è molto affollato. Per arrivarci bisogna pagare un biglietto per entrare nel parco, raggiungere un parcheggio, ovviamente a pagamento e pagare la navetta che ti porta al lago. Arrivati sul posto facciamo il periplo del lago (non abbiamo tempo di fare escursioni più impegnative), torniamo al parcheggio con la navetta e poi andiamo a mangiare in un ristorante che ci fa uno sconto di 20€ per aver pagato il biglietto d’ingresso.
Oggi Federica ha avuto un problema fisico quindi la coppia Andrighetto non ci raggiungerà per salire al rifugio. Ci incrociamo solo con Roberto per strada per recuperare la borsa di Maurizio.
Un’altra oretta di auto e arriviamo al parcheggio del rifugio Pederu, ovviamente a pagamento. Riorganizziamo gli zaini sulla base di quello che ci servirà nei prossimi due giorni e prendiamo la salita per il nostro rifugio in località Fanes.
Nel pomeriggio il rischio sarebbe stato il meteo molto incerto e infatti, partiti da poco, arriva una bella grandinata che ci fa fermare sotto gli alberi per circa 15 minuti. Poi ripartiamo, per un po’ smette di piovere ma mezz’ora prima del rifugio ricomincia a piovere bene. Bagnati come pulcini arriviamo in questa bella malga a gestione familiare, dove stasera saremo soli. Quindi la camerata è tutta per noi.
A cena si uniscono tre francesi che dormiranno fuori in tenda. Quando andiamo a letto sentiamo la pioggia che batte sul tetto e ci immaginiamo quei tre poveri ragazzi…
Cena favolosa con ottimi canederli, polenta e funghi e un dolce fritto ma non pesante con crema di vaniglia.
Domani c’è in previsione una bella gita con ferrata. Vediamo il meteo…



22 luglio
Oggi il meteo ci assiste e, dopo una notte di diluvio, la giornata inizia nuvolosa ma nel pomeriggio diventa decisamente più soleggiata. Riusciamo quindi a fare la nostra gita senza il caldo afoso ma soprattutto senza pioggia. Siamo nelle Dolomiti di Fanes (Alto Adige) e la meta di oggi è la cima nove o il sasso del nove, sempre qui all’interno del parco di Fanes. L’avvicinamento è abbastanza lungo e impegnativo. Dopo aver superato gli altri rifugi di questa zona, i più grandi come il Fanes e il Lavarella ( a 2042 mt), il sentiero inizia a salire attraverso un bel prato. Finisce il prato e inizia un traverso su ghiaia che porta al passo Sant’Antonio. Di lato a questo traverso c’è una conformazione di roccia nota come Parlamento delle marmotte, un’area impressionante e gigantesca di gradini naturali di arenaria. In effetti di marmotte ne vediamo a decine. Nella foto qui sotto si vede alle nostre spalle.


Dal passo Sant’Antonio parte un sentiero che sale ripido in mezzo alle rocce, molto friabile, che porta ad un piccolo altopiano da cui parte la ferrata. La ferrata è abbastanza corta ma molto carina, con alcune placche che, viste in foto, sembravano molto più impegnative. 



Finita la ferrata servono altri 15 minuti per arrivare alla croce.


Passiamo di nuovo dal passo. Io ed Eleonora scendiamo con calma al Lavarella a prendere il sole e fare merenda, mentre Inga e Mauro salgono alla cima Sant’Antonio e ci raggiungono dopo. 
Visto che vogliamo, nell’ordine, bagnare i piedi nel torrente vicino al rifugio, fare la doccia, fare il bucato e cenare alle 6.30 pm, scendiamo. Prima di cena abbiamo anche tempo di giocare a carte e, giusto prima di sederci a tavola, ci raggiungono finalmente Andrighetto e Federica. 
Oggi è stata una giornata abbastanza impegnativa e la cena ce la siamo meritata tutta, anche se anche stasera è molto abbondante!
Dopo cena rivediamo il programma di domani, che abbiamo modificato, e poi a nanna. Domani è una giornata di spostamenti ma non solo…

23 luglio


Anche oggi il tempo non ci assiste e dobbiamo rivedere i programmi in corsa.

Di primo mattino scendiamo dalla Ucia Pices  Fanes (il nostro rifugio a conduzione familiare) e raggiungiamo il Pederu dove abbiamo la macchina.

La direzione è il passo Valparola, dopo il passo Falzarego. Abbiamo quindi lasciato le Dolomiti di Fanes e l’Alto Adige per entrare in Veneto, nelle Dolomiti Ampezzane.

Il primo obiettivo è la ferrata Sass de stria, ma quando arriviamo sta piovendo e quelli che arrivano alla fine dicono che è molto umida. Rinunciamo e, visto che siamo nelle zone della prima guerra mondiale, facciamo un giro per vedere le trincee ancora ben visibili. 

Secondo obiettivo: una galleria, sempre avanzo del periodo bellico, che si inoltra per un bel po’ nella montagna. Dopo un giro di perlustrazione, lasciamo perdere. Oggi non è giornata. Nel frattempo continua a piovere, poi smette, poi riprende, ecc.

A quel punto ci dirigiamo verso il rifugio Dibona dove parcheggiamo.

Il tempo continua ad essere incerto,  quindi ci affrettiamo a salire al rifugio Giussani (mt. 2600) dove passeremo la notte.

Mentre saliamo inizia a tuonare e a un certo punto parte una pioggia abbastanza torrenziale che ci accompagnerà fino al rifugio, gestito dal Cai di Cortina.

Due note negative: non ci sono abbastanza ciabatte e mi tocca comprarle a 3€ e poi fare la doccia comporta un gettone di 7€, che fortunatamente riesco a condividere con Federica. Nota invece positiva: il rifugio è molto curato nei particolari e negli oggetti di arredamenti, in particolare con l’uso del cuore ovunque, anche nelle bellissime stoviglie.

Verso cena il tempo migliora e così riusciamo a vedere le tofane che ci circondano, soprattutto la Tofana di Rozes, che sovrasta il rifugio.



Cena buona, come ormai nella media di questa zona. Domani il meteo sembra essere meglio. 
Qui sotto la Tofana di Rozes. Il parcheggio del Dibona sarà in tutti e tre i giorni in cui ci fermiamo preso d’assalto da auto da ogni parte di Europa di persone che vengono qui ad arrampicare.



24 luglio


La giornata inizia tutta in discesa, visto che partiamo dal rifugio Giussani per tornare al Dibona, dove si trovano le auto. Foto di gruppo di rito e si parte.



Raggiunte le auto, la direzione è il passo Falzarego (2109 mt). Il nostro obiettivo è l’anello del Lagazuoi, che riunisce in sé non solo la bellezza di queste Dolomiti ma anche la storia della Prima Guerra mondiale. Già al rifugio Giussani avevamo visitato le caserma Cantore e la targa lasciata in sua memoria.



Partendo dal passo si sale sul sentiero verso sinistra per un bel po’, fino a raggiungere l’attacco del sentiero attrezzato Kaserjager, la via di comunicazione tra il fondovalle e le postazioni austriache in quota sul Lagazuoi.




Mi immaginavo fosse più una via ferrata, invece è appunto un sentiero parzialmente attrezzato che conduce alla cima del Piccolo Lagazuoi (2835 mt), dove si trova un rifugio raggiungibile anche in funivia, quindi particolarmente affollato. 




Dopo la pausa pranzo ripartiamo perché la discesa si prospetta molto interessante. Dietro il rifugio infatti parte la Galleria Italiana scavata nella roccia dai nostri alpini durante la guerra, galleria che ha dell’incredibile! Ogni tanto al suo interno si trovano dormitori o balconi con vista sul passo e sul famoso cratere della mina austriaca. Questa tracciato si può percorrere solo col casco, perché si prendono delle cozzate tremende alla testa, e con la frontale, perché ovviamente è completamente buio.



Ad un certo punto c’è una deviazione che porta alla cengia Martini, la postazione più importante in questa parte del fronte. La linea del fronte infatti tra l’impero austro-ungarico e il regno d’Italia passava tra il Sasso di Stria e il piccolo Lagazuoi e tagliava la zona del passo Falzarego. 
Col tempo la Cengia Martini venne dotata di camminamenti, cucine, mensa, magazzino, telefono, stazione teleferica, posto di medicazione, fucina, falegnameria, fureria, in parte visibili ancora adesso. Gli italiani tennero questa postazione per molto tempo, nonostante gli attacchi austriaci, fino alla ritirata nel ‘17.

Tornati indietro riprendiamo la galleria che prosegue ancora per un po’ nelle viscere della montagna, fino a sbucare su un sentiero poco sopra il Falzarego.

Sul sentiero abbiamo anche incontrato dei volontari che facevano manutenzione, soprattutto nella parte della cengia Martini. Sono di Treviso e hanno una loro sede alla base del sentiero.



Il giro di oggi è stato molto soddisfacente, vario… e anche emozionante. Pensare a cosa succedeva qui poco più di 100 anni fa…

Tornati al rifugio Dibona, dove passeremo ben tre sere, facciamo la solita cena luculliana a cui ormai ci hanno abituato e poi andiamo in branda.

Oggi in discesa ho incontrato una vipera nera. Devo dire che mi ha impressionato assai, anche se forse lei era più spaventata di me… mi è dispiaciuto non averla fotografata.


25 luglio


Dopo l’anello del Lagazuoi, oggi ci dedichiamo ad un altro anello, quello del Nuvolao. Il punto di partenza è sempre il passo Falzarego (2105 mt) da cui inizia un bel sentiero che, dopo aver superato un bel laghetto dove una coppia appena sposata sta facendo un book fotografico, sale lentamente fino a raggiungere la forcella Averau (2435 mt). Dopo un traverso giungiamo al Rifugio Averau (2416 mt), rifugio dolomitico come sempre affollato perché vi giunge una funivia.

Anche oggi vogliamo inserire un diversivo al percorso escursionistico. Prendiamo quindi un sentiero che ci porta all’attacco di una breve ferrata, che facciamo con soddisfazione anche se corta.


Usciti dalla ferrata dopo almeno venti minuti di cammino arriviamo sulla vetta del Monte Averau (2647 mt). Dietro di noi la Marmolada.




Per tornare al rifugio dobbiamo purtroppo disarrampicare la ferrata, meno divertente…

Oggi il nostro anello prevede una serie di rifugi, tra cui il più storico delle Dolomiti, cioè il Rifugio Nuvolau (2575 mt), posto al di sopra di un lungo scivolo di roccia da cui si domina Cortina. 



Arrivati in cima ci concediamo una superba pausa pranzo, costituita da un semplice panino con formaggio e verdure ma gustosissimo e cucinato in maniera superba. Mangiato su una panchina del Nuvolau, tra le cinque torri, le tofane, la Marmolada… cosa si può aggiungere?



Scesi dal Nuvolau raggiungiamo poco sotto il Rifugio Scoiattoli (2255). Siamo sotto le cinque torri, di cui non possiamo ovviamente non fare il giro, passando poco sopra il Rifugio cinque torri (2137 mt). Molti scalatori sono impegnati ad arrampicare sulle torri. 




Troviamo un’altra postazione di questa serie di musei all’aperto della Prima Guerra Mondiale che ormai ci ha accompagnato in questi giorni (Lagazuoi, 5 torri, sasso di Stria, forte tre sassi).




Ormai ci rimane solo la discesa verso il Col Gallina, dove si conclude la lunga escursione di oggi. Al rifugio ci aspetta un’altra cena che, x quelle che sono le mie abitudini, è veramente troppo abbondante… stasera quasi sto male…


26 luglio

Oggi dedichiamo la giornata ad una ferrata tra le migliori della zona. Si chiama Via Ferrata degli Alpini o ferrata Col dei Bos. La partenza è poco prima di raggiungere il passo Falzarego, in vicinanza di un ristorante da cui parte un sentiero che in circa mezz’ora ci porta all’attacco. È una ferrata recente, fatta dal comando delle Truppe Alpine di Bolzano nel 2007-8, che risale tutta la cresta della montagna.




La ferrata richiede quasi tre ore ed è piuttosto impegnativa, soprattutto nella parte iniziale, ma comunque richiede una costante attenzione e forza fisica per tutta la salita.

Finita la salita dopo un breve cammino si arriva in cima al Col dei Bos (2559 mt).




Dopo la pausa pranzo prendiamo il sentiero di discesa e arriviamo al parcheggio, dove ci prendiamo la prima birra meritata della giornata.

Grande salita, impegnativa ma fattibile, alla fine tuti moooolto soddisfatti della prestazione.


27 luglio
È il giorno del ritorno. Anche se questo blog si chiama Alta Via numero 1 in effetti non abbiamo percorso in maniera precisa e itinerante la via. Non aver trovato posto nei rifugi delle varie tappe ci ha impedito appunto di farlo. L’abbiamo però tenuta come ispirazione rispetto ai luoghi da visitare e alle escursioni da fare, anche se non ci siamo limitati all’aspetto escursionistico ma abbiamo integrato con sentieri attrezzati e vie ferrate.
Adesso è mattina e stiamo per scendere dal rifugio Dibona dove siamo stati tre giorni immersi e circondati da queste montagne. La giornata riserva ancora qualcosa.
Eleonora, Mauro e Inga decidono di chiudere la settimana con la ferrata del Saas de stria. Io invece sono molto soddisfatta di quella di ieri e oggi voglio fare la turista. Quindi vado al museo della Grande Guerra “tre sassi”, costruito all’interno di un forte. È il museo più importante delle Dolomiti sulla Prima Guerra Mondiale. 



È ricchissimo di cimeli del periodo, sia austriaci che italiani. Del resto questa zona prima della guerra era parte dell’impero austroungarico. Fuori dal forte c’è un signore di 70 anni che spiega ad una comitiva come è nato il museo. Prima suo padre e suo zio raccoglievano per i monti ciò che restava della guerra per rivenderlo e guadagnarci qualcosa; lui invece, dall’età di 14 anni, ha iniziato ad accumulare materiale fino a quando ha chiesto al sindaco di Cortina di fare un museo. E così è stato.
Oggi ho decisamente capito cosa si intende col termine overtourism. Già stamattina (oggi è sabato) il parcheggio del rifugio Dibona era pieno fino all’inizio del sentiero e, mentre noi stavamo scendendo, salivano auto e furgoni (diffusissimi i van adibiti a camper) in un numero così elevato che non sarebbe bastato un altro parcheggio, già piuttosto grande. Quindi molte le auto lasciate a bordo strada. La strada che ci porta a Cortina è una lunga fila di auto e moto. Il carico di mezzi meccanici su questa montagna è impressionante!
L’ultima meta della vacanza è quindi Cortina. Fortunatamente il centro storico e la via principale sono pedonali. Facciamo una vasca e diamo uno sguardo ai negozi e poi ci concediamo l’ultimo pranzo coi canederli (io ed Eleonora ) e con la salsiccia e crauti (gli altri). Compriamo uno strudel e siamo veramente pronti per partire!
La via che ci porta a Belluno e all’autostrada passa da Longarone. Uno sguardo alla diga del Vajont e si torna a casa!