lunedì 30 agosto 2021

Favignana e Sicilia 2021




Come si suol dire: squadra che vince non si cambia. E così anche quest’anno, dopo l’esperienza dell’estate scorsa a Capraia, io, Emilia, Massi e Cri ci siamo dedicati al mare e abbiamo scelto la Sicilia, in particolare Favignana, quindi ancora isole. Prima e dopo abbiamo però aggiunto delle brevi parentesi di turismo, concentrate su Trapani e i dintorni.



Al primo pranzo sul mare la compagnia si deve sorbire il mio (però) unico “pippotto storico” in generale sulla storia della Sicilia, a partire dagli Elimi e dai Fenici per arrivare ai greci, ai romani, ai saraceni, ai normanni, agli angioini, agli Aragona, agli spagnoli, ai Borboni fino infine all’Italia post-unitaria, i briganti, la nascita della mafia e la regione autonoma. Giorni dopo, in località Cinisi e Capaci, il cerchio si chiude con Peppino Impastato e le stragi mafiose. Insomma un miscuglio di culture e storie veramente unico.
Dopo aver visto il centro di Trapani (abbastanza velocemente visto che sarà la nostra base per tre giorni almeno) ci dedichiamo a Erice, borgo medievale collocato su una collina esattamente sopra Trapani. Posto a circa 750 metri s.l.m. è quasi sempre avvolto nelle nuvole. Noi invece siamo fortunati e lo visitiamo con un sole splendido.



Erice 

Da segnalare: il Real duomo, bellissima chiesa iniziata attorno al 1300 e poi rimaneggiata nei secoli successivi fino a metà ottocento; la torre con una bellissima vista sulla vallata. Qui per la prima volta ci chiedono il green pass. La storica pasticceria di Maria Grammatico dove conosciamo e ovviamente mangiamo le genovesi ancora calde. La funivia che porta alla sommità del colle, pezzo di montagna a livello del mare.








 Stabilimento Florio - Favignana 

La storia di Favignana è indissolubilmente legata a quella della famiglia Florio. Trasferiti a Palermo dalla Calabria nell’800 dopo un violento terremoto, aprono in città una drogheria che, dopo enormi sacrifici e nonostante la diffidenza della città verso degli estranei, porterà questa famiglia a diventare il miglior esempio di creatività e coraggio imprenditoriale non solo del sud ma dell’Italia intera. Questa famiglia creò un impero economico che coinvolse le tonnare (tra i primi a mettere il tonno  sott’olio), il vino Marsala (allora venduto e bevuto soprattutto in Inghilterra), la principale compagnia di navigazione italiana, lo zolfo, una fonderia e molte altre attività economiche. Nel giro di cento anni circa questa famiglia passò dal comprare case e yacht nel Mediterraneo, vestire dai sarti parigini e londinesi, comprare gioielli da Cartier, andare in vacanza in Svizzera o sulla Costa Azzurra, favorire unioni matrimoniali con donne nobili per eliminare l’immagine di borghesi arricchiti, frequentare case reali ma anche il Parlamento italiano, finanziare i più importanti teatri di Palermo ad una parabola discendente che la vide costretta a svendere tutto il suo patrimonio, oltre a perdere uno alla volta tutti i discendenti maschi e a vedere quindi svanire il cognome Florio. 

Per chi vuole leggere l’avvincente storia di questa famiglia consiglio i due libri di Stefania Auci: “I leoni di Sicilia” (uscito e letto l’anno scorso) e “L’inverno dei leoni” (letto durante queste vacanze).



A Favignana è rimasto il palazzo antistante il porto, fatto costruire da Ignazio, quello che probabilmente diede più splendore alla famiglia (tanto che nel 1874 comprò le tre isole Egadi al prezzo di due milioni e 700mila lire), e lo stabilimento Florio, dove veniva inscatolato il tonno ottenuto dalla famosa tonnara di Favignana, uno dei primi investimenti del padre Vincenzo, che intensificò con successo alcune tonnare della Sicilia, facendo sua una tradizione araba. Fu invece Ignazio jr (figlio di Ignazio) a determinare la caduta dell’impero economico, a causa di cattivi investimenti. Una guida molto preparata ci spiega la storia dei Florio, il procedimento seguito dagli operai in fabbrica per preparare il tonno in scatola e la strategia che i tonnaroti, comandati dal Rais (non a caso nome di derivazione araba), mettevano in atto per catturare i tonni che entravano nel Mediterraneo per riprodursi, allo scopo di portarli fin dentro la camera della morte durante la famigerata mattanza, l’ultima nel 2005.




Saline  di Trapani

Inevitabile a Trapani la visita al museo del Sale, dove una fantastica e simpatica guida ci illustra il legame tra la gente e il sale, anche se un tempo qui era una attività molto più remunerativa e praticata che adesso. La concorrenza è forte e spesso questo sale, tra i migliori sul mercato (soprattutto se integrale quindi poco o per niente trattato), va a finire sulle strade in inverno quando c’è il rischio ghiaccio. Tristezza…

Interessante il sistema di vasche comunicanti che un po’ alla volte fa diminuire la quantità d’acqua e aumentare la concentrazione di sale fino all’evaporazione completa e alla raccolta.

In questa impresa familiare i tre figli (e così i figli dei figli) si sono divisi nel tempo i ruoli: uno si occupa del museo, uno del ristorante e uno della raccolta del sale.






Favignana e Marettimo
Da segnalare. Le innumerevoli calette visitate in una settimana (faraglioni, rossa, azzurra, rotonda, bue marino, punta larga, grotta perciata). Quasi tutte inevitabilmente rocciose, non sempre facilissime da raggiungere, sicuramente necessitano un mezzo di locomozione (con un po’ di sforzo basta la bici muscolare). Le cave di tufo, la pietra che caratterizza l’isola; perché qui tutto è fatto di tufo ed è inevitabile trovare in giro per l’isola il terreno scavato delle cave. Aperitivi al tramonto. Giornata a Marettimo, con giro in barca dell’isola e visita alle principali grotte. Come guida e pilota un ragazzo di 24 anni che ha deciso di non abbandonare l’isola; d’estate lavora coi turisti, il resto dell’anno fa il pescatore.






Riserva dello Zingaro

Avendo qualche giorno da spendere in zona Trapani ci dirigiamo verso la tanto rinomata riserva dello Zingaro. È una riserva naturale orientata nata nel 1981. Tra i due accessi, decidiamo di arrivare dalla parte di Scopello piuttosto che da San Vito Lo Capo, che comunque andiamo a visitare dopo. La riserva presenta sentieri (e quindi calette) molto interessanti ma fa troppo caldo x camminare con questa canicola, quindi ci fermiamo alla prima caletta e va bene così. Mentre San Vito è decisamente un paese turistico, con spiaggia, ombrelloni, negozi di souvenir e tanta gente, Scopello è invece un borgo molto carino costruito attorno ad un baglio del ‘700.


Selinunte

Selinunte è stata una delle scelte più azzeccate di questi giorni di turismo. È vero, la visita è accompagnata da un gran caldo ma questo è uno dei siti archeologici più importanti d’Italia. Quindi oggi, invece di camminare, usiamo il trenino interno all’area archeologica ma almeno possiamo visitarla in lungo e in largo anche se non tutto è accessibile. I resti notevoli di questa antica città, prima alleata e poi distrutta dai Cartaginesi nel 409 a.C., che è arrivata ad avere fino a centomila abitanti, sono collocati su un promontorio che si affaccia sul mare. Ora rimangono alcuni templi che lasciano intuire quanto fosse gloriosa questa città. Un museo raccoglie alcuni dei reperti trovati durante gli scavi, ancora attivi. Essendo ancora attivo il biglietto, alla sera torniamo per una visita notturna. Pur essendo un museo all’aperto, green pass necessario.









Scopello 



















domenica 1 agosto 2021

Tour del Monte Bianco TMB 2021




Questa è la seconda estate che dobbiamo affrontare con il Covid come spada di Damocle sulla testa e quindi ci si adegua ma non si rinuncia alle vacanze. Si evita l’estero (anche se questo tour non è proprio tutto in territorio italico, anzi...) ma il must per me quest’anno è come l’anno scorso: prima un bel trekking e poi  il mare a scelta tra i più belli d’Italia.




Sostanziale differenza, che il trekking di quest’anno non l’ho organizzato, studiato e pensato io ma il gruppo era già formato e io mi sono aggregata; e poi il TMB è uno dei più famosi giri escursionistici d’Europa, quindi non richiede grossi preparativi perché i rifugi sono già lì e le tappe pure. Bisogna solo decidere la lunghezza delle tappe e quindi quanti giorni impiegarci e se utilizzare o no dei mezzi meccanici per accorciare dei pezzi. La nostra risposta è NO, solo pedibus calcantibus.

Poi ovviamente c’è la questione vaccino e greenpass. Chiarisco subito che io sono pro vaccino (l’ho fatto appena possibile) e anche pro greenpass. Se vogliamo uscire da ‘sto delirio si passa da lì, dalla limitazione (?) della nostra libertà di movimento. Io sono disposta a farlo per la mia salute e quella degli altri. Chiuso il discorso.

Quindi nello zaino ci sta (metaforicamente, in pratica è sul cellulare) anche questo documento. Anche perché in Francia è obbligatorio.


Iniziamo con dei numeri. 

3 paesi, 170 km, oltre 10mila metri di dislivello positivo (e negativo), 6 persone che poi diventano 4, 11 giorni

I protagonisti sono: io, Eleonora, Inga e Andri. Per i primi 5/6 giorni avremo anche la compagnia di Paolo e Francesca che, detto, così, sembrano usciti dal 5 canto della Divina; invece non sono una coppia e non sono stati uccisi. 

1 agosto prima tappa 

Planpincieux (1583)- rifugio Bonatti (2026) - hotel Chalet Val Ferret (1775). Km 14

Arrivati a Courmayeur, alla ricerca di un park, decidiamo di superare la nota località e di  inoltrarci nella Val Ferret. Siamo partiti più tardi del previsto e qualcuno ha voluto fare tutta la statale dopo Nus... Parcheggiamo a Planpincieux; il tempo di prepararci e inizia a piovere... l’acqua ci accompagnerà più o meno per tutto il giorno, dandoci dei momenti di tregua. Il sole comunque non uscirà mai e anche la vista sulle Gran Jorasses è parzialmente oscurata dalle nuvole.

La prima intertappa è il famoso rifugio Bonatti, tanto famoso quanto i suoi gestori sono antipatici e limitano l’accesso al rifugio (sia di notte che per il pranzo) molto più di quanto sia opportuno...

Oggi incrociamo anche un trial, quello cose per cui io non sarò mai preparata. La val Ferret è veramente una bella vallata e la pioggia ha reso il verde molto più brillante. Dopo un lungo traverso dobbiamo scendere a fondo valle per arrivare al posto dove pernottiamo, che stasera è un albergo, quindi con una sistemazione decisamente più agile. Dobbiamo però dividerci perché qui c’è posto solo x 4 persone. Due vanno al rifugio seguente, quindi si portano avanti di un’ora rispetto a noi. Albergo completamente pieno soprattutto di gente che sta facendo il TMB.  Temperatura 8 gradi.

Cibo. Siamo in un ristorante italiano quindi eccellente. Primo: zuppa/pennette al ragù. Secondo: polenta con funghi. Dolce: panna cotta e frutti di bosco. Voto: 9,5.

Alternativa (al rifugio Elena). Tris di antipasti, pasta al ragù, arrosto peperoni e polenta. Dolce: mela e due tortine. Quantità 9. Qualità 7. 

2 agosto seconda tappa

Rifugio Elena (2066)- col du Grand Ferret (2537)- Tete de Ferret (2714)- La Peule (2071)- La Fouly (1593) km. 18,5

Partiamo con calma perché la colazione è alle 7.30 e quindi raggiungiamo Andri e Paolo alle 9.30 al Rifugio Elena. Oggi la giornata è decisamente meglio dal punto di vista meteo; ci sono ancora un po’ di nuvole in giro ma si intravedono le Grand Jorasses e i ghiacciai che si incontrano dopo. Grazie alla pioggia il verde è splendente (mi ripeto) e camminare su questi sentieri puliti e per niente impervi è un piacere.

Tra il col petit e il col Grand ferret, optiamo per il Grand che tutti ci hanno consigliato e perché ci permette di salire alla Tête de Ferret. Con neanche 200 mt in più saliamo su questa cima che se non ci fossero le nuvole...

Al colle tira un’aria pazzesca e fa un freddo boia!

Scendiamo e riprendiamo il TMB. Con il colle siamo entrati in Svizzera, nel Vallese. Ora è tutta discesa, prima fino a La Peule, un bell’agriturismo con terrazza assolata, e poi, dopo ancora un po’ di km, fino a La Fouly dove c’è il nostro alberghetto che si chiamerebbe “Maya-joie” e che noi abbiamo soprannominato Maiunagioia. Dopo la doccia e il bucato giornaliero io, Eleonora e Francesca ci stabiliamo nella sala giochi tra blog, cell, mappe, e soprattutto Francesca che mi sta facendo un massaggio alla spalla. Non vi ho ancora parlato di Francesca. È una amica di Inga e soprattutto è di Cortina, sì proprio quella Cortina d’Ampezzo, adesso in trasferta.

Oggi abbiamo avuto un po’ più la percezione dell’affollamento del TMB: oltre a italiani, francesi e svizzeri, abbiamo trovato coreani/americani (non era chiaro) e dicono siano in aumento gli israeliani, ma non li abbiamo intercettati.

Stasera cena prenotata con la raclette. Su tre notti da fare in Svizzera, almeno una cena è salva! Raclette ottima, con patate novelle che non si sbucciano nel senso che si mangiano con la buccia (mi dice la pragmatica Eleonora), accompagnata da un’ottima birra fatta qui in paese.

Dopo cena la signora dell’auberge ci offre un limoncello fatto con limoni svizzeri dallo chef. Dignitoso, soprattutto per l’ospitalità della nostra ospite.

Il meteo nei prossimi giorni ci dà qualche preoccupazione.

Cibo. La cena è la raclette. Dolce: purea di albicocche. Voto: 8. 

3 tappa 3 agosto

Praz-de-Fort (1151)- Issert (1054)- champex lac (1466)- Arpette (1627) km. 21

Oggi doveva essere una tappa interlocutoria e invece non è stata così banale... siamo scesi di 500 mt rispetto all’auberge ma poi siamo dovuti risalire di nuovo per raggiungere Champex au lac. Questo paese ha un’aria abbastanza turistica, probabilmente grazie al lago balneabile. Credo però che la maggior parte delle persone transitino di qui per il TMB ma c’è anche un po’ di attività sportiva sul lago. Qui vicino c’è anche  Martigny, città di un certo interesse.

Il sentiero attraversa alcuni paesi molto simpatici e pittoreschi, ad esempio con giardini molto curati, miriadi di nanetti da giardino, ogni tipo di fiore e decorazione. Ci sono inoltre molti fienili che però ormai non sembrano più adibiti alla loro funzione ma abbandonati o usati per il turismo. Comunque i prati e le case sono molto curate.

Dopo questa serie di paesi il sentiero ricomincia  a salire. Nel frattempo le nuvole si stanno addensando. Dopo la sosta pranzo al lago, il sentiero sale in mezzo ad un bosco ricchissimo di mirtilli, affiancato da un ruscello che qui vengono chiamate bisce (o qualcosa del genere). Dopo un paio di km arriviamo al nostro albergo che stasera è nientepopodimenoche un relais. Questa è la scusa per farci pagare 100 CHF a notte per un posto che non ha neanche una sala dove stare quando non si è in sala da pranzo.

Come previsto alle 18 inizia a piovere e quindi dopo cena (sempre più presto, questa sera alle 18.30) si controlla il meteo e si decide cosa fare domani. Le alternative sono due: il sentiero basso e il sentiero alto, che però col cattivo meteo non vale la pena.

Ormai iniziano a essere tante le persone che ci “seguono” sul sentiero e che ritroviamo o durante la giornata o in albergo. Per chi è abituato ai cammini, è una cosa piuttosto usuale.

Cibo. Primo: minestra. Il piatto vegetariano batte tutti come al solito (da segnalare le verdure saltate col latte di cocco e il curry). Gli altri piatto unico con salsiccia con sugo, penne rigate e verdura mista. Da segnalare il vino vallese Dole de sierre. Voto: 7 (io 8).


4 tappa 4 agosto

Champex (1466)- Plan de l’Au (1330)- Bovine (1987)- Col de la Forclaz (1526)- Trient (1281) km. 22,3

Le previsioni purtroppo ci hanno visto giusto e oggi abbiamo camminato TUTTO IL GIORNO sotto la pioggia, dalle 8 alle 3.30 pm, con solo una breve sosta per un tè.

Dobbiamo purtroppo rinunciare alla fenetre d’Arpette che ci avrebbe offerto una visuale su un po’ di ghiacciai e optiamo per il sentiero più basso. Torniamo quindi a Champex che attraversiamo per poi prendere il sentiero che, come sempre finora, senza grossi strappi arriva a Bovine. 

Qui si trova un piccolo rifugio ma siamo fradici e manca ancora un po’ alla nostra meta, quindi asciugarsi non ha molto senso. Il tempo di una barretta e dopo essere saliti ancora un poco inizia una bella discesa in un bosco. Peccato che c’è molto fango e quindi bisogna stare attenti. A 200 mt di dislivello dal fine tappa ci concediamo al colle di Forclaz un tè. Poi riprendiamo sotto la pioggia. Solo gli ultimi metri prima di Trient esce uno spicchio di sole e la pioggia finisce.

L’albergo/ostello di stasera è abbastanza nella media di quelli che abbiamo visto finora... della serie: manca sempre qualcosa! O manca il soggiorno dove rilassarsi un po’, o manca la lavanderia, o il locale dove stendere il bucato, o anche solo qualcosa nei dormitori dove appoggiare le proprie cose. Come se non fossero abituati a gente in giro zaino in spalla. Mah... e comunque si fanno pagare molto profumatamente!

Ormai il gruppo di quelli che seguono le stesse tappe e quindi si incontrano a ogni piè sospinto si è consolidato: abbiamo il gruppo di francesi, il gruppo di cino-americani, i due ragazzi USA, una coppia inglese... come sempre, quando si fa un cammino, è sempre un momento di gioia la condivisione di una avventura comune.

Oggi mi è successa una cosa da Carramba che sorpresa! Eravamo fermi a Forclaz. Di fianco al nostro tavolo c’era un gruppo di randonne francesi (che avevamo già incrociato). Uno di questi mi dice che suo figlio Julien è convinto di avermi già visto... dove? Al Salkantay Trail e sul Macchu Picchu nel 2019!

Incredibile! Certo, sono io! Julien ha ragione e ha un’ottima memoria!

Stasera inauguro la rubrica cibo! Ovviamente ho aggiornato anche gli altri giorni.

Cibo. Primo minestra. Secondo: pollo al curry con verdure e riso (per me solo riso e verdure). Voto: 7.

5 giorno 5 agosto

Le Peuty (1322)- Col de Balme (2191)- Col de Poisettes (1997)- Montroc (1400) km. 20

La salita al col de Balme è fortunatamente asciutta; il cielo è ancora nuvoloso però si vede la vallata e dopo un po’ si vede in alto il rifugio. Il tempo di arrivare e arrivano le nuvole a occupare tutto il passo. Questo è il confine tra Svizzera e Francia ma il rifugio è ancora svizzero e così spendo gli ultimi franchi.

Visto che le nuvole non si muovono ma che verso le 3 le previsioni danno sole, decidiamo di fare qui la pausa pranzo, pausa che si protrae per tre ore... le nuvole non se ne vanno e il tempo passa. Durante il pasto io ed Ele proviamo una birra artigianale del luogo, la sua ai mirtilli, la mia al genepì. Decisamente meglio la mia.


Affrontiamo quindi le nuvole  e dopo circa mezz’ora ci becchiamo ancora la pioggia. Diciamo scoraggiante... avevamo scelto il sentiero più alto per fare una cima, invece riusciamo a trovare una alternativa più veloce. Dopo poco il vento porta via le nuvole e ci porta finalmente il sole. Dalla discesa si vede un ghiacciaio di fronte (ovviamente in ritirata), sotto Argentiere e in fondo Chamonix. La nostra meta è invece Montroc, sotto di noi, dove un bel rifugio, piccolo ma ben organizzato, ci accoglie. Riusciamo a fare anche un bucato che probabilmente si asciugherà senza problemi.

Il gestore ci conferma che quest’anno l’affluenza al TMB è molto sotto la media, causa Covid. Per noi invece è stata una fortuna farlo quest’anno perché c’è in giro meno gente e soprattutto si trova da dormire nei rifugi (tranne in uno perché molto piccolo). Solitamente bisogna prenotare molto tempo prima. Noi abbiamo modificato ieri sera l’itinerario senza problemi.

Cibo. Aperitivo con il kyr, ottimo vino francese. Entrata con ottima insalata mista. Piatto unico con patate lesse, salsiccia e porri. Per me verdure miste in padella. Vino Cote du Rhone, molto buono. Voto: 7,5.

6 giorno 6 agosto

Tête au vents (2133)- refuge chalet du Lac Blanc (2352)- refuge de la Flegere (1877)- gares de Planpraz (1999)- Chamonix (poco sopra i 1000 mt., con la funivia) km.  19

Fare la tappa di oggi con il sole splendente, la temperatura, l’ambiente e la vista che abbiamo trovato


credo sia stato un regalo incredibile che la natura ci ha fatto. La giornata già era iniziata con un bellissimo arcobaleno davanti all’auberge, presagio di una grande giornata.

Francesca, la nostra amica di Cortina, ci saluta perché ha deciso che il suo tour termina qui. Raggiungerà Chamonix dove stasera con Paolo tornerà verso casa.

La prima meta di oggi è un rifugio situato in una zona di laghetti. Appena imbocchiamo il sentiero ci appare subito la vetta del Bianco che ci accompagnerà per tutto il percorso, a cui poi si aggiungerà la vista della Drus, delle Grand Jorasses, il Dente del gigante, l’Aguille du midi, il Mer de Glacé e ovviamente la vetta, più altre vette diciamo minori. Questo sentiero da cui ammiriamo tutto ciò viene chiamato il Gran balcone del Bianco.


Il sentiero, che presenta anche un po’ di scalette, ci porta al rifugio del Lago Bianco dove decidiamo di fare la nostra pausa pranzo, su una terrazza da cui si gode tutto il massiccio. Qui l’ambiente è un po’ diverso; dalla funivia del Flegere in un’ora e mezza si arriva in questo bellissimo posto, che quindi è molto affollato. Il sentiero di discesa verso il Flegere fa il paio con la foto del tipo con le sneakers sul Monte Rosa: orde di persone che salgono con scarpe da ginnastica, gonne, anfibi, borsetta al braccio, ...


Da la Flegere c’è appunto una funivia che porta giù a Chamonix. Non abbiamo trovato posto in un rifugio in quota quindi anche noi dobbiamo scendere ma decidiamo di farlo alla funivia successiva, che è a 2 ore di cammino e a 200 mt di dislivello ancora in salita. Questo pezzo di balcone però ripaga dell’ulteriore fatica perché troviamo un po’ di randonneurs ma abbandoniamo la folla. La funivia di Planpraz è frequentata, soprattutto da parapendii. Scesi a Chamonix incontriamo di nuovo Paolo e Francesca con cui beviamo un’ultima birra x salutarli. Poi andiamo in albergo perché siamo un po’ stanchi...

Apriamo una parentesi sull’albergo. In pieno centro abbiamo una camera all’ultimo piano con soppalco, davanti ovviamente al gigante. Chamonix è una città molto carina, molto viva, piena di negozi e ristoranti. La sera quindi decidiamo di concederci una cena alla brasserie ma, siccome io ed Eleonora abbiamo solo gli scarponi, andiamo a comprarci un paio di infradito per poter andare a cena!!!

Parentesi Covid. Finora nessuno ci ha chiesto greenpass né altro, in albergo o in funivia o altrove. A Chamonix però è obbligatoria la mascherina anche all’aperto. Francesca ha tentato di entrare in un museo ma gli hanno chiesto il greenpass che non aveva e quindi l’hanno rimbalzata.

Cena. Per le donne cena banale con pizza e birra peroni. Voto: 6,5. Gli uomini prendono un mega-menu con cui si strafogano. Voto: 7.

7 giorno 7 agosto

Risalita da Chamonix in funivia a Planpraz (1999)- Col di Brevent (2368)- Le brevent (2525)- refuge de Bellachat (2152)- Les Houches (1100) km. 18

Lasciamo la ridente Chamonix per risalire in funivia a Planpraz e riprendere il sentiero da dove l’avevamo lasciato ieri. La prima parte della tappa di oggi è tutta una risalita che ci porta a Brevent dove arriva un secondo troncone di funivia che parte da Planpraz. Le piste da sci sono evidenti. Al Brevent c’è una terrazza da cui si dominano le due vallate, da una parte Chamonix e il Bianco (oggi è piuttosto coperto, si vede solo l’Aguille du Midi), dall’altra parte una bella e ampia vallata, la Savoia o qualcosa del genere. Si vedono anche delle mongolfiere che hanno una sede di decollo in quella vallata.

Iniziamo a scendere e raggiungiamo il rifugio Bellachat, dove avremmo dovuto dormire ma non c’era posto (da 20 posti sono stati ridotti a 10 per Covid). Qui ne approfittiamo per fare la pausa pranzo. Affrettiamo i tempi perché nel pomeriggio danno temporali. Purtroppo le previsioni si anticipano e alle 13.30 scoppia un temporale molto forte che ci accompagnerà fino alle 16.30 all’arrivo dell’auberge, a Les Houches. Qui si conclude il gran balcone del monte Bianco.

Devo dire che, dopo una giornata così disagevole dal punto di vista del meteo, avrei preferito una accoglienza migliore. Il gestore si è incasinato con le prenotazioni e quindi siamo ospiti a casa sua ma questo non migliora la situazione ma anzi la limita molto.

Abbiamo scoperto che il nostro padrone di casa è una guida che ha girato il mondo, ha aperto mille vie ed è sceso dal K2 con gli sci.  Ultimante si è anche dedicato a quello che qui chiamano psicogenealogia e che noi chiamiamo psicologia sistemica cioè lo studio delle dinamiche familiari, la terapia familiare, ecc., non si sa bene con che competenze. Ha scritto anche dei libri, ad esempio sul calcolo del rischio. La sua teoria è che alcune persone, sulla base della loro storia familiare, sono più predisposte al rischio e quindi a fare esperienze estreme. Sarà... in casa con noi c’è anche Federico (lo traduco in italiano), francese, che è qui per andare a fare un trekking con tenda in una zona qui vicino che si chiama Deserte de plate’, un plateau di calcare dell’alta Savoia una volta ricoperto da ghiacciai. Dicono sia come camminare su ghiaccio pietrificato. Sembra un posto molto interessante. Federico si sta preparando ad andare, dopo, su alcune cime del Bianco, ma non sul Bianco perché troppo affollato.

Cibo. Pranzo al rifugio Bellachat. Potage e omelette molto buone, Andri prova la croizette, una specie di pasta pasticciata, tipica di questa zona. Voto: 8 Cena al rifugio  dove ovviamente ci ripropongono la croizette, molto buona perché arricchita da timo. Piatto unico seguito da insalata e dolce, ottimo. Voto: 8,5.

8 giorno 8 agosto

Les Houches (980)- Col de Voza (1653)- Bellevue (1780)- col de Tricot (2120)- refuge de Miage (1559) km. 17,5

Dopo essere usciti quasi traumatizzati dalla nostra gite (sporca, poco agevole, disorganizzata), scendiamo un poco per raggiungere il paese di Les Houches, molto carino, molto turistico, probabilmente più d’inverno per le piste da sci. Per molti il tour inizia qui, infatti c’è una porta di legno con scritto partenza sotto la quale facciamo una foto. 


Dopo aver conosciuto e salutato una strana donna con un cagnolino che scopriamo essere una militare canadese di stanza a Napoli, iniziamo a salire verso col de Voza. Purtroppo la salita è tutta sulla pista da sci, quindi brutta e molto ripida. Il meteo è nuvoloso ma almeno non piove; più saliamo però, più si sente il freddo. Questa è la zona dell’aiguille de Bionnassay e dei Domes de Miage.

Dopo essere saliti ancora un po’ arriviamo alla ferrovia che porta al Le Nid d’Aigle/nido d’aquila, la tramway de Mont Blanc. Alla stazione c’è una bella mostra fotografica che illustra la costruzione dei primi rifugi attorno al Bianco. Sarebbe bello salire ma abbiamo ancora un po’ di strada da fare.

Il sentiero fortunatamente esce dalle piste e rimane comunque abbastanza ripido. Ad un certo punto dobbiamo attraversare un ponte sospeso che supera un fiume che esce dalla lingua di un ghiacciaio, fiume piuttosto minaccioso.

La nostra meta adesso è il col du Tricot, il punto più alto oggi. Arrivati lì tira un’aria incredibilmente fredda. Ci ripariamo dietro a un muretto per fare un pranzo veloce che abbiamo recuperato in una boulangerie e poi scendiamo lungo un bellissimo e ripido canalone che ci porta a Chalet du Miage, dove c’è il nostro rifugio. Uno dei migliori che abbiamo trovato!

È ancora abbastanza presto così, dopo la doccia e il bucato, ci godiamo il sole che finalmente è uscito e beviamo l’aperitivo della Savoia, il kyr.

Nel frattempo è arrivato un elicottero della Gendarmerie a portare un ferito. Io ed Eleonora constatiamo che  i tecnici del soccorso alpino sono sempre piuttosto bbboni!

Cena. Il coronamento di una grande giornata: zuppa, omelette con patate, insalata, degustazione di formaggi, dolce a scelta tra crostata di mirtilli o lamponi, oppure fromage  blanc. Innaffiato da un Pinot noir della Savoia.  Voto: 9 (con lode).

P.s. Qui il wi-fi non c’è quindi x le foto dovrete aspettare. Non so quando...

9 giorno 9 agosto

Chalets du Truc (1749)- Les Contamines-Montjoie (1152)- Nant Borrant (1459)- Refuge Les Pres (1935) km. 20

Lasciamo il bellissimo rifugio Le Miage e risaliamo un poco fino a Truc. Oggi la giornata è bella e soleggiata e si gode un bellissimo panorama anche se il Bianco in questa parte del TMB rimane più nascosto. Qualcuno definisce questo tratto più intimo; forse è la parte che alcuni preferiscono saltare col bus e quindi meno affollata. È il pezzo in cui il Bianco si nasconde di più. 

Arriviamo al villaggio Les Contamines, stazione decisamente turistica a partire dai negozi (soprattutto sportivi) e da tutti i parchi appunto sportivi di cui è circondata. Qui si può fare qualsiasi tipo di sport, sono veramente ben organizzati. Appena arrivati visitiamo un parco dove sono esposti i disegni di un signore che si chiama Samivel (famoso da queste parti), alpinista e illustratore che ha fatto con gli acquerelli delle locandine e pubblicità molto belle, ovviamente legate alla montagna. 


Dopo aver fatto la spesa per il pranzo alla boulangerie, partiamo. Un po’ perché spesso seguono le piste da sci ma qui i sentieri sono veramente ripidi e i dislivelli li raggiungi in poco tempo, a spese del fiato, dei polpacci, dei quadricipiti... in questo tratto il sentiero è molto affollato x la gente che arriva da Les Contamines. Salendo la gente scompare...

Oltrepassiamo un rifugio classico del TMB, il Nant Borrant, e facciamo una variante per raggiungere il rifugio le Pres. È stato molto faticoso trovare un posto da dormire x stanotte; inoltre questo fa sì che la tappa di domani sarà necessariamente molto impegnativa. 


Il rifugio di oggi è nuovissimo e bellissimo. Gestito completamente da ragazze. Credo abbiano ristrutturato una stalla, ma in tempi recentissimi. È fatto tutto in legno e all’interno se ne respira l’odore. Noi abbiamo una cameretta da 4. Nel locale delle scarpe ci sono anche le serpentine dove infilare gli scarponi x asciugarli. Vedremo stasera con la cena...

Comunque anche da questa bellissima vallata dove sta il rifugio si vede il Bianco e il ghiacciaio Miage. Dopo cena i colori sono incredibili.

Come ieri anche da qui il cellulare non prende e il rifugio non offre il wi-fi e quindi corre l’obbligo rinunciare a questa modernità  oppure fare quelle scene assurde in cui ci si muove attorno al rifugio alla ricerca di campo!

Cena. Primo: zuppa con crostini e fetta di toma. Secondo: couscous con ratatouille (x i carnivori aggiunta di spezzatino). Dolce: purea di mela con torta savoiarda. Vino: cote du rhone, Parallelo 45. Voto: 9.

Comunque il bilancio di questo lungo tratto in Francia è decisamente positivo, anche se i sentieri sono troppo ripidi e troppo spesso sulle piste da sci. Ricettività molto buona e accogliente. Cibo molto buono anche se sempre con gli stessi elementi: uova, formaggio, patate.

10 giorno 10 agosto 

Tumulus (2043)- Col du Bonhomme (2329)- Col de la Croix de Bonhomme (2433)- Col des Fours (2665)- Tête nord des Fours (2748)- la Ville des Glaciers (1789)- Col de la Seigne (2518)- rifugio Elisabetta (2197) km. 33

Oggi la giornata si prospetta fin da subito impegnativa e lo sapevamo già. Quindi si parte con molta convinzione. Nel corso del giorno faremo ben 4 colli: Bonhomme, croix de Bonhomme, des Fours, de la seigne.


Usciti dal rifugio risaliamo un bel pendio dolce. Nel frattempo ho scoperto che questo rifugio è molto richiesto dagli scialpinisti perché da qui si fanno un sacco di gite. Questo rifugio, inaugurato a luglio, è stata proprio una piacevole deviazione.


Il primo punto è il Tumulus, dove c’è un luogo con un cumulo di sassi fatto per ricordare due donne morte: qui ognuno lascia un sasso come augurio e buon presagio. Facciamo i primi tre colli senza grosse difficoltà. Per un piccolo disguido facciamo anche la Tête, 100 mt. e mezz’ora in più.

Scendiamo da un ripido pendio per arrivare alla Ville de Glaciers, dove c’è una specie di museo o attività didattica per i bambini sui ghiacciai. Qui facciamo la pausa pranzo, veloce perché c’è poco tempo. Qui si può arrivare con una navetta, quindi molti vengono qui a fare una gita. Ci sono in giro anche molte biciclette.

Da lì inizia una lunga risalita che porta al col de Seigne che segna il confine tra Italia e Francia. In questo lato del TMB troviamo le Pyramides Calcaires, l’Aiguille Noire de Peuterey, il Dente del Gigante e le Grand Jorasses.

Dopo una discesa si arriva al rifugio Elisabetta del Cai Milano. L’unico rifugio in cui ho trovato tutte le porcellane (piatti, ciotole, ecc.) con impresso il logo del Cai proprietario del rifugio. Questo è un rifugio molto vecchio e di vecchia concezione (bagni poco agevoli, piccoli, camerate molto strette) cui però è stata aggiunta una parte nuova, la sala da pranzo, molto bella e con una bella vista sulla vallata.

Cena: bruschette, risotto al formaggio, patate arrosto con insalata di fagiolini e carne/formaggio. Dolce: panna cotta con panna montata. Voto: 7.5.

P.s. Il wi-fi qui al rifugio è troppo debole. Per le foto dovrete aspettare 

11 giorno 11 agosto

Cab. Du Combal (2197)- Lac de Vesses (2322)- plan Checroud (1704)- Courmayeur (1220) km. 14,7

Oggi si torna a Courmayeur. Potremmo fare un sentiero a fondo valle e arrivare in paese più velocemente ma preferiamo salire un po’ per poter vedere da una posizione migliore i ghiacciai (Miage, Brenva e altri) e le cime (dente del gigante, punta hellbronner, il pilone del Freney, l’Aiguille Noire). Il miglior epilogo del giro oggi concluso. Oggi la giornata è molto calda e soleggiata e quindi la vista merita.

Visto che siamo saliti ancora e x evitare di stressare ulteriormente le ginocchia, decidiamo di scendere a Courmayeur prima con una seggiovia e poi con una funivia. Esprimiamo solidarietà al gestore della seggiovie che deve costantemente rallentare le seggiovie che arrivano perché la gente pretende di scendere senza alzare la sbarra o di alzare la sbarra senza togliere i piedi. Santa pazienza!

Arrivati a Courmayeur facciamo un giro per il centro pedonale, Soprattutto perché cerchiamo un posto dove mangiare. È molto affollata e fa un gran caldo, quindi dopo pranzo prendiamo un bus che ci porta all’auto che avevamo lasciato dentro la Val Ferret. Finalmente si torna a casa!

P.s. Magari domani scrivo un bilancio...


Bilancio

Natura

Cosa dire? Qui tutto è una meraviglia! Si attraversano pascoli  alpini con ogni tipo di fiore e quindi di colore, si cammina attraverso aree protette, sempre accompagnati da vette innevate o ghiacciai.

Rispetto agli animali, ovviamente molte marmotte, aquile avvistate in gran numero, forse un gipeto. Tantissime mucche, qualche toro, molte pecore e capre. Niente camosci. Niente stelle cadenti. 

Rifugi

Abbiamo alternato rifugi di montagna, alberghi, relais, auberge, gite, quindi con diversi livelli di comodità. Non possiamo comunque lamentarci: non è mai mancata una doccia calda! Il cibo è sempre stato più che dignitoso, a tratti superbo.

Persone incontrate

Veramente tante, di ogni tipo e varietà ma sempre accomunate dalla stessa passione: camminare in montagna. I due ragazzi americani di cui uno scoppiato, Julien che si ricorda di me dal Peru nel 2019, la militare canadese con cane, padre e figlio di lingua portoghese, un sacco di famiglie (soprattutto francesi) con figli al seguito, la signora dell’Oregon con figlia, un solitario signore francese di una certa età alla ricerca di un posto dove mettere la tenda, moltissime cabanatt donne ma anche moltissimi altri gestori di rifugi carinissimi, il gruppo orientale che non abbiamo mai capito se fosse cinese o Cino-americano… e un sacco di altre belle persone come quelle che si incontrano in montagna.

Covid

Il COVID non ha particolarmente limitato il nostro viaggio. Abbiamo sempre messo la mascherina nei luoghi chiusi, usanza ormai rispettata da tutti. In alcuni paesi francesi la mascherina era richiesta anche all’aperto. Nessun albergo o rifugio ci ha chiesto il greenpass. La capienza di alcuni rifugi era ridotta. Come ho già detto il periodo Covid ci ha permesso di prenotare dei rifugi quasi all’ultimo momento. In un anno normale probabilmente avremmo dovuto prenotare il tutto con molto anticipo.

Il TMB è un trekking che richiede una certa preparazione fisica. I dislivelli sono quasi sempre piuttosto impegnativi, all’interno di uno sviluppo di parecchi km e lo sforzo deve essere fatto in maniera continuativa ogni giorno. Se fate la somma dei km che io ho indicato arriviamo a 220 circa (sono quelli del mio iPhone, che ovviamente non è precisissimo), i siti ufficiali indicano 170 km. Bisogna dire che il TMB presenta un po’ di varianti. Quindi alla fine la verità starà nel mezzo…


Il gruppo di amici con cui ho fatto il TMB si è rivelato fantastico ma non avevo dubbi. Il clima è sempre stato incredibilmente alto anche e soprattutto nei momenti di sconforto (vedi pioggia) o di fatica. Grazie Eleonora, Roberto e Maurizio! (Ma anche a Paolo e Francesca che sono stati con noi per una parte). Una signora dell’Oregon che abbiamo conosciuto al rifugio Le Prens, riferendosi al fatto che viaggiavamo insieme, ci ha chiesto: do you stil like each other? 



Libro che mi ha accompagnato in questo viaggio: Enrico Brizzi, “l’estate del gigante”, ed. ponte alle grazie, 2020