martedì 28 luglio 2020

Molise 2020

L’ANNO IN CUI NON SIAMO STATI DA NESSUNA PARTE

Questo mi sembra il titolo giusto di un blog di viaggio che nasce nell’anno di una pandemia che ci ha tutti costretti a stare immobili per mesi e che riguarda una regione che per tutti gli italiani (tranne forse per chi ci abita) non esiste. Insomma, partendo dai diari africani di Che Guevara (per chi non ha colto la citazione) alla pagina Facebook Molisn’t, quest’anno vi dimostrerò che è possibile fare una vacanza in un posto che non c’è.
Questo trekking è condiviso con Giovanna, mia quasi gemella (siamo nate a due giorni di distanza), e mia compagna di liceo. Perse per molti anni ci siamo ora ritrovate e addirittura stiamo facendo un cammino assieme. Ovviamente ci accomuna la passione per la montagna, lo scialpinismo e in generale camminare.


28 luglio

Oggi prima giornata di avvicinamento al Molise. Quindi, alta Velocità fino a Roma Tiburtina... ecco, Tiburtina offre uno spaccato della capitale che sta un po’ tra il cantiere aperto, la periferia squallor, il classico terminal dei bus in partenza x ogni dove, saracinesche abbassate dagli orari di apertura improbabili. Purtroppo ci tocca sostare dentro la stazione qualche ora in attesa del bus che ci porterà a Isernia, la nostra prima tappa e la partenza del nostro tour.

Rubrica: cose da Covid-1
Siccome sanificare i bagni è evidentemente un costo e un dispendio di energie, i bar non offrono più questo servizio e in una stazione enorme come Tiburtina ti tocca scendere di tre livelli prima di trovare un unico bagno a disposizione per tutti i passeggeri. E siccome bisognerebbe seguire i percorsi obbligati, ti tocca anche portare a termine la caccia al tesoro per arrivare al punto di partenza...

Rubrica: cose da Covid-2
Prima di salire sui bus bisogna sottoscrivere l’autocertificazione che non siamo malati. Ovviamente prima di entrare nel terminal ci hanno misurato la febbre e così prima di accedere al bus. Ma tutte queste misurazioni faranno bene al nostro cervello?

Rubrica: cose da Covid-3
Nel ristorante di stasera, siccome non si possono distribuire i menu, ci hanno dato un foglio con un QR-code. Quindi se non hai l’app per leggerli, non puoi vedere il menu... da pazzi...

Iniziamo con due notizie due di storia... lo sapete che io ho il pallino...

La storia del Molise va ricercata sicuramente nella notte dei tempi. Il 5 giugno 1979 viene infatti data la notizia di una grande scoperta paleontologica: il ritrovamento, in località La Pineta di Isernia, di un sito preistorico con testimonianze di attività umane risalenti a circa 730 mila anni fa.
L'accampamento paleolitico era frequentato dall'homo erectus (Homo aeserniensis), addirittura il più antico vissuto in tutta Europa. 
L'importanza del ritrovamento è data, oltre che dalla lontanissima datazione, dal numero veramente eccezionale di reperti ossei e di manufatti lapidei rinvenuti attorno alla capanna abitata da questo nostro antichissimo progenitore.
La documentazione dei preziosi ritrovamenti di Isernia che rappresentano elementi fondamentali per lo studio del Quaternario nell'area dell'Europa Mediterranea, è ospitata stabilmente nella Mostra - Museo del Paleolitico a Isernia, in un ex monastero di monaci benedettini.

Rubrica: cibo locale
Prima cena in un cortile del centro storico di Isernia. Un primo piatto con pesce eccellente!

Centro storico abbastanza piccolo ed essenziale. Purtroppo era una città medievale distrutta da un grave terremoto mi pare a metà ottocento e quindi non è rimasto molto, del Medioevo nulla o quasi. La rivaluterò una volta finito il trekking; l’ultima sera apprezzerò molto di più le sue piazze e i suoi angoli.
Altra nota storica: il Molise è l’unica regione italiana nata dal distaccamento da un’altra, cioè quella che prima era gli Abruzzi e Molise.



29 luglio

Prima tappa: Isernia- Pescolanciano, km. Circa 27
Quando un sentiero parte da una città, è sempre difficile trovare il punto di partenza. È così anche ad Isernia, dove dobbiamo chiedere ad un po’ di camminatori che fortunatamente frequentano di buon mattino un percorso ad anello che parte dallo stadio. InizIamo a salire in mezzo al bosco ma già vediamo il primo step della tappa di oggi, il paese Miranda abbarbicato sulla collina (400 mt circa). Parte del sentiero è su asfalto e ho il brutto presentimento che troveremo molto asfalto anche nelle prossime tappe. Raggiungiamo il paese dove, dopo una rinfrescata ad una bellissima fontana storica, ci sediamo per rifocillarci e intanto socializziamo con due pensionati ben contenti di scambiare due chiacchiere. 


Miranda

Usciti dal paese il sentiero sale sulla collina alle spalle di Miranda e passa a fianco di una cappella e ci troviamo al primo bivio. La direzione che dobbiamo prendere è chiara solo che ci porta a fondo valle e non in costa come pensavamo. Fortunatamente troviamo due contadini e due apicoltori che consultano la carta e ci aiutano. Comunque ci siamo già rese conto che i local non frequentano molto i loro sentieri e quindi sono un po’ approssimativi quando ti danno informazioni. Finalmente, dopo aver risalito la collina, raggiungiamo una sella dove partono evidenti due sentieri, tra cui il nostro. Peccato che il ns, dopo poco, si  perde nel nulla e non troviamo più alcuna indicazione. Chiediamo ad un pastore, credo albanese, che prima dice che non esiste, poi che è un sentiero molto difficile ma che da qualche parte, nel bosco, porta... a posto siamo...
Quello è stato sicuramente il tratto più difficile perché da lì siamo riuscite ad uscire solo seguendo i segni di un trattore che alla fine ci hanno condotto al bosco, da cui partiva una carrozzabile (questa segnata) che dopo molti Km ci ha portato alla provinciale che porta a Pescolanciano (806 mt). L’idea di fare due o tre km almeno sotto il sole sull’asfalto ci induce a chiedere ad un automobilista un passaggio verso il paese, che raggiungiamo piuttosto stravolte. Tra l’altro la scorta d’acqua è finita da tempo.
Tappa, devo dire, molto dura, non solo per la lunghezza e per il caldo, ma per l’incertezza del sentiero. Essere in due ha aiutato, sopratutto a non scoraggiarsi.
Il gestore del ns b&b cammina molto in queste zone e discute con noi le prossime tappe. Diciamo che quando parla siamo un po’ annebbiate dalla stanchezza ma cerchiamo di cogliere il necessario...
I local ci guardano come marziani per il giro che stiamo facendo e poi si vede che non sono proprio abituati ai turisti. I pensionati ci hanno detto che i giovani se ne vanno e che qui si vive solo di agricoltura. Quando stasera ho chiesto a due miei più o meno coetanei di cosa vivono non mi hanno risposto... Antonio, il nostro ospite, felicissimo di aver fatto la scelta di stare qui a vivere.

Pescolanciano è famosa in zona per la festa delle fascine. Attorno a Sant’anna (il 26 luglio) si sceglie un campo dove vengono raccolte le fascine usate poi per la processione nel corso Garibaldi (qui tutti i paesi hanno corso Garibaldi). Qualcuno ci ha detto con orgoglio: è il corso Garibaldi più grande dell’alto Molise. Quest’anno, causa Covid, niente processione però il paese è comunque abbellito dalle fascine. L’effetto è molto carino. 



30 luglio

Seconda tappa: Pescolanciano- Staffoli (vicino a Vastogirardi) km 17 circa
Appena fuori dal paese imbocchiamo il tratturo Lucera- Castel di Sangro che seguiamo per un po’ ma non per molto, come indica invece la cartina. Ad un certo punto diventa un sentiero che si addentra per il bosco e ad un certo punto questo sentiero magicamente sparisce.. in fondo alla valle vediamo il tratturo, che dobbiamo  però raggiungere improvvisando un percorso in mezzo ai rovi. Primo imprevisto di oggi. Evidentemente siamo tutte e due cosi stordite da non vedere le deviazioni o le indicazioni? Mah... procediamo quindi per il tratturo fino ad un trivio con un cartello. Quello che ci interessa è divelto, cerchiamo di ricostruire la direzione anche con la cartina e proseguiamo. Dopo 5/6 km troviamo un casale con un signore che ci informa che siamo sulla strada sbagliata, quella porta a Roccasicura. Il sole è implacabile e quindi ci facciamo portare indietro in auto dal ns nuovo amico fino alla chiesetta di San Domenico, appena fuori Carovilli, la metà tappa di oggi. Raggiungiamo il paese, molto carino e animato oggi dal mercato. Dopo una sosta riprendiamo il cammino fino al Castiglione di Carovilli. In una piazza con una bella fontana dall’acqua limpida e fresca, contattiamo i local pensionati per capire il sentiero. Qui le possibilità sono: cercare un sentiero usato da zero persone in mezzo al nulla dove la possibilità di perdersi è “sicuramente” oppure seguire la strada che in pochi km ci porta a Staffoli, la meta di oggi. Siccome per oggi abbiamo già dato in termini di avventura, optiamo per la strada che comunque non è frequentata da auto ed è piacevolmente circondata dal verde. Solo l’ultimo pezzo su strada provinciale è molto sofferto.
 Staffoli horses è un’oasi molto carina e tranquilla, come dice il nome caratterizzata dai cavalli e quindi da tante mosche...

La piana di Staffoli 


Differenze Molise-Abruzzo
Innanzitutto il Molise è molto più verde dell’Abruzzo; noi attraversiamo per km colline molto rigogliose. I campi non sembrano coltivati ma usati solo per il fieno. L’Abruzzo è molto più brullo.
Qui in Molise si trovano un sacco di fontanili funzionanti, con l’acqua fresca e potabile. Quando visitai l’Abruzzo (era un anno particolarmente siccitoso), i fontanili erano tutti chiusi.
Quando si giunge a qualche paese in Molise, questi sono ancora abitati e diciamo “operativi” (bar, farmacie, un sacco di macellerie). I paesi dell’Abruzzo sono deserti, ma proprio deserti. Non trovi un bar o un negozio. Anche qui ovviamente i giovani scappano per la città (anche solo Isernia) ma forse in Abruzzo questo fenomeno è avvenuto prima. 

Questa è la meta di oggi, monte Capraro, visto da Vastogirardi.

31 luglio

Terza tappa: Staffoli- Vastogirardi- Monte Capraro - Capracotta km. 17
Il primo problema da risolvere è trovare qualcuno che ci porti a Vastogirardi evitando così 5 km su strada. Nessuno allo Staffoli horses può e quindi ci incamminiamo al mattino presto. Dopo un po’ di autostop si ferma un signore con il classico camion da edilizia che sta sistemando alcune case a Vastogirardi e in particolare al Castello, tipico medievale che sovrasta il paese. È un imprenditore edile. Qui le case lasciate dagli avi sono sistemate per le vacanze estive. Mi conferma, da abruzzese, che così non è nella sua regione dove i paesi sono vuoti. Dopo una breve colazione imbocchiamo il sentiero. Prima però facciamo una deviazione ad un tempio sannita del II sec a.c., messo in una bella posizione Davanti ai campi pieni di covoni di fieno e con a fianco una sorgente.


Questo invece è un tipico sentiero da queste parti...


Anche oggi arrivare alla meta di Monte Capraro sarà una vera impresa... Il sentiero è poco segnalato, se non del tutto, è pieno di erbacce e in molti punti completamente coperto di rovi. Inoltre è nei punti più strategici completamente privo di segnali. Spesso il sentiero sbuca in campi grandi come campi da calcio senza vie di sbocco oppure il sentiero è interrotto dal filo spinato. Orientarsi richiede veramente grandi capacità ma soprattutto tanta pazienza, non farsi prendere dal panico, tornare sulle proprie tracce e cercare i segnali, dove ci sono. 


Questo qui sopra ad esempio è un tipico esempio di campo a cui porta un sentiero e che poi non condurrà da nessuna parte...

Finalmente troviamo il sentiero che si inoltra in una bella faggeta e dopo un po’ sbuca su una bellissima spianata dove si trova una croce di vetta (anche se la vetta trigonometrica è un po’ più avanti). Qui ci concediamo un po’ di riposo anche se abbiamo finito l’acqua ma la vista paga tutta la fatica. Si domina a 360gradi tutta la vallata, Capracotta da un parte e il versante da cui siamo arrivate dall’altra,  in fondo si vede la Majella.

Sulla vetta del monte Capraro, sullo sfondo Capracotta 

Raggiunta la vera vetta Iniziamo la discesa in un’altra faggeta dove fortunatamente il sentiero è segnatissimo. Purtroppo ad un certo punto finisce e ci porta alle piste da sci che ci tocca percorrere fino in fondo. Arrivati alla biglietteria siamo piuttosto stravolte; la discesa, seppur veloce, è stata provante... x raggiungere Capracotta dovremmo risalire su strada asfaltata e poi, attraversato l’abitato, fare un’altra bella salita. Fa molto caldo e abbiamo finito l’acqua da un bel po’, quindi chiamiamo l’hotel e ci facciamo venire a prendere. Ha aperto con una nuova gestione da una settimana ed è posto al di sopra del paese e giusto sotto il monte Campo. L’accoglienza è strepitosa e così facciamo la merenda- anche se in realtà è il nostro pranzo-  su una stupenda terrazza dove veniamo coccolati dall’intero staff che in questo momento ha solo noi come ospiti. Ci dicono però che Capracotta d’estate è molto frequentato e domani inizia il weekend e inizia agosto.
Valutazione di fine tappa: forse sottovalutiamo le tappe, ritenendo che un medio kilometraggio o un basso dislivello comporti una certa “facilità “. Ci siamo accorte che non è così. Innanzitutto il dislivello è dato anche da tutta una serie di saliscendi a volte non previsti, e poi c’è tutta la fase di ricerca del sentiero  che prende un sacco di tempo ed energie, anche mentali.
Comunque anche oggi non abbiamo incontrato nessuno...


Rubrica: cibo locale
Da segnalare il caciocavallo e la scamorza. Ovviamente molta carne (del resto tante macellerie saranno giustificate...). Anche il tartufo e il baccalà sono una presenza costante nei menu molisani.

Capracotta visto da monte Campo


1 agosto
Quarta tappa: Capracotta- Agnone km. 14 
La partenza si prospetta positiva: il sentiero è ben segnato e pulito e così arriviamo facilmente in cima al monte Campo, mi pare la cima più alta del Molise. Incredibilmente troviamo anche un po’ di gente.  La vista da quel punto è spettacolare, un po’ come quella del monte Capraro che abbiamo di fronte. A 360gradi si spazia sulle vallate sottostanti. In fondo si vede un paese Pescopennataro, che io chiamo “il piccolo Machu picchu” perché è arroccato su una collina e ha alle spalle a proteggerlo una piramide di roccia. 

Pescopennataro 



Chiediamo a dei local (uno dei quali ci garantisce di averlo fatto qualche giorno fa) e quindi imbocchiamo un sentiero in costa che per un po’ prosegue lungo il crinale. E come ogni storia di cui si sa già la fine (Romeo e Giulietta finisce purtroppo sempre allo stesso modo), anche oggi il sentiero si perde non appena esce dal bosco, i segni scompaiono e noi come al solito dobbiamo affrontare una caccia al tesoro fatta di rovi, cardi, insetti, saliscendi continui e oggi in particolare di filo spinato che più volte interrompe il sentiero quando lo si trova. Ovviamente nessuno all’orizzonte a cui chiedere... la carta ci permette solo di tenere la direzione giusta e infatti arriviamo dopo 5 ore a Guado Liscia a fronte delle due ore previste dai cartelli!
A Guado Liscia fortunatamente c’è un bel bar con giardino ventoso e fontana ristoratrice dove ci concediamo la sosta (come sempre l’acqua è finita e ormai si sono fatte le due). Da qui ad Agnone sono 8 km su asfalto sotto il sole; anche oggi optiamo quindi per l’autostop.
Questo ci permette (grazie alla dritta dei nostri chauffeur) di andare alla visita guidata della Fonderia Pontificia Marinelli, che fonde campane da 700 anni. Un tuffo molto interessante in un mestiere che viene svolto da secoli sempre nella stessa maniera. Ho scoperto che la campana ha tre fasi: quella fatta di mattoni rivestita di argilla (anima), la falsa campana fatta ancora di argilla con le decorazioni in cera e infine il mantello. Questa fonderia ha fatto la campana del giubileo 2000. 
Curiosità: mentre la colata di bronzo scende verso lo stampo un prete benedice e prega l’operazione. La nota che suona la campana dipende dal diametro, che deve essere uguale all’altezza.



2 agosto

Quinta tappa: Agnone- Fontesambuco- Pietrabbondante km. 22
Una volta uscite da Agnone ci avevano indicato di scendere fino al fiume Verrino e poi risalire. Ci sembra una impresa, oltre che molto lunga, impervia e incerta (e quando mai in Molise?!), quindi decidiamo di stare su strada asfaltata e, attraversato un lunghissimo viadotto solo stradale che fortunatamente ha una corsia chiusa x lavori, ci troviamo dall’altra parte della vallata. Ci consultiamo con un ciclista che ci conferma la non-tradizione escursionistica dei molisani e anche lui non conosce bene il territorio. Decidiamo che la  prima sosta sarà al paese di Fontesambuco. Se lì si continua su asfalto, cerchiamo un passaggio. In questo paese di due, dico due anime c’è la festa della Madonna degli Angeli e noi arriviamo durante la messa, che si tiene rigorosamente all’aperto. Quindi all’entrata, invece dell’acquasantiera, c’è il camion con birra, bibite e patatine fritte. 
L’omelia del prete è abbastanza singolare. Dice che tra poco ci sono le elezioni e quindi bisogna stare molto attenti a chi bussa alla nostra porta e chi è amico solo adesso e poi si dimentica di te e “non si vede più nessuno”. Alla fine fuochi d’artificio che, visti sotto il sole d’agosto, diventano solo delle nuvolette che ogni tanto si colorano. 
Cerchiamo di capire come proseguire. Quelli della protezione civile non ci sono di molto aiuto, oltre al fatto che sono ostili. Poi troviamo un signore che ci indica una strada sterrata che taglia tutto il pendio e ci porta a Pietrabbondante, la nostra meta.  Nonostante siano le 12.30 si prospettano due ore di cammino (che poi diventeranno due ore e mezza). Il sole picchia come sempre e il sentiero sale costantemente senza mai concedere una tregua. Arriviamo all’incrocio con la provinciale. A questo punto autostop, ma non passa nessuno. Chiamiamo la signora del b&b che ci recupera e così risparmiamo 3 km di asfalto.
Tentiamo di visitare l’area archeologica del paese, importante centro civile e religioso della Pentria, costruito dai Sanniti pochi decenni prima “dell’urto fatale”con Roma, ma chiude nel momento in cui arriviamo e quindi riusciamo a vederlo velocemente dall’alto.
Il vero capolavoro del Parco archeologico è costituito dai resti del Teatro, felice connubio tra strutture italiche ed architettura greca. Il Teatro, ricavato nel pendio naturale del terreno, è formato da una cavea e da cinque gradinate. Qui, sugli straordinari sedili in pietra a sezione anatomica - e, per questo, unici al mondo - ancora oggi, in estate, è possibile assistere alle rappresentazioni teatrali. I resti si trovano nei pressi dell'antico tratturo Celano - Foggia, a pochi chilometri dall'abitato, tra giganteschi macigni: le morge.

Vista di Pietrabbondante dal lato del teatro e del tratturo.


Rubrica: cose da Covid- 4
Qui si passa dal QR code x leggere i menù ai camerieri senza mascherina, alle pizzerie modello di assembramento, dalla colazione servita in camera al b&b che ha un bagno in comune per tre camere e ovviamente non viene sanificato ogni volta... oggi un ospite del b&b (di Milano) mi ha teso la mano. L’ho guardato malissimo! Ma qualcuno ha ancora questa abitudine?! Poi sembro io quella cafona...

Pietrabbondante 


3 agosto
Sesta e ultima tappa: Pietrabbondante- Carovilli km. 17
Carovilli-Isernia in bus
Diciamo che Pietrabbondante non ci è proprio rimasta nel cuore: il teatro sannitico stava chiudendo e ci ha rimbalzato, ci sono solo tre bar (di cui uno per niente ospitale), l’unico ristorante è molto fuori dal paese e bisogna avere l’auto, infine quella del b&b stava un po’ troppo addosso (oltre alle norme anti-Covid inesistenti). La posizione del paese però è molto bella e vale la pena passarci.


Da Pietrabbondante parte il tratturo Celano- Foggia che porta direttamente a Carovilli. Anche se è un tratturo, è stato tutto asfaltato. Questo ci consente di seguire la strada senza troppi “sbatti” per cercare la direzione giusta. Inoltre la strada passa vicino alla Riserva Naturale Orientata di Collemeluccio, quindi il paesaggio (ritroviamo il monte Capraro) e l’ambiente sono molto belli e la strada è veramente poco trafficata. 
Così come ieri siamo riusciti a vedere la parte di anello fatta, da Capracotta a Guado Liscia e poi Agnone fino a Pietrabbondante. Oggi, una volta scollinato, abbiamo rivisto il giro da Carovilli a monte Capraro a Staffoli.
Con l’arrivo a Carovilli si conclude il ns cammino, dopo circa 114 km spesi su questo anello nel nord del Molise.
Dopo un’oretta circa arriva puntualissimo il bus che in mezz’ora ci porta a Isernia dove ritroviamo il nostro primo alloggio.
Per i bilanci e le conclusioni, dovrete attendere più tardi.


Questa è una carta che illustra il nostro itinerario, ad esclusione del tratto da Isernia a Pescolanciano fino a Carovilli. Poi però si vede il giro Carovilli- Vastogirardi- Capracotta- Agnone- Pietrabbondante- Carovilli.

La rubrica: cibo locale si chiude ancora a Isernia, la tappa finale, dove troviamo uno dei migliori ristoranti di questa vacanza, situato nel centro storico “le segrete del 700”, con una stupenda balconata sulla vallata.
Del cibo molisano abbiamo scoperto che usa molto il baccalà, la scamorza, il tartufo. Non vi parlo invece della carne che qui viene mangiata molto ma a me non interessa.



4 agosto

Ritorno a casa. 
Percorso complessivo: Isernia- Miranda- Pescolanciano- Carovilli- Staffoli- Vastogirardi- monte Capraro- Capracotta- monte Campo- Guado Liscia- Agnone- Fontesambuco- Pietrabbondante - Carovilli- Isernia km. 114

Ed eccoci al bilancio di fine trekking.
Innanzitutto ho fatto bene a non venire da sola e per di più con una persona anche lei esperta di montagna. Questo cammino ha richiesto, oltre ad una buona preparazione fisica e a un ottimo spirito di sopravvivenza e resistenza, anche un grande senso di orientamento, lettura del territorio e della carta e, ultimo ma non ultimo (e questo secondo me è sempre l’ingrediente fondamentale di un cammino), una forma mentis allenata alle difficoltà e al problem solving. In soldoni: non farti prendere dal panico e trova una soluzione. In questo caso due cervelli sono stati sicuramente meglio di uno.
Il Molise è una terra bellissima, con una serie di borghi incastonati in un territorio verdissimo, ma non è una terra di escursionisti. Si vede dal fatto che non abbiamo incontrato nessuno in una settimana, la gente a cui chiedevamo non ci sapeva dare indicazioni e i sentieri non erano tracciati, curati e soprattutto battuti. Questo cammino per me era anche una perlustrazione per capire se organizzare in futuro un trekking per il mio CAI e la mia risposta purtroppo è: no, non mi prenderò mai la responsabilità di farlo. Forse l’unica possibilità è affidarsi a guide del luogo. Mi manca di visitare la zona del Matese, nel sud della regione. Quindi il Molise si merita sicuramente un’altra possibilità.
Consiglio vivamente di venire a visitare queste zone, magari in auto valutando qualche piccola escursione non prima di aver verificato. Con chi non mi è chiaro, forse alcune zone sono meglio battute e curate dai CAI locali. Quindi verificate prima di mettere gli scarponi tra trekking!
L’ospitalità che abbiamo trovato, la magia di alcuni paesini, la cortesia di alcuni improvvisati driver, le cene molisane che non ci hanno mai deluse mi fanno quindi ritenere che il Molise esiste, adesso ne ho le prove.
Ultimo selfie nella piazza di Isernia


Bibliografia (ma soprattutto libri letti in viaggio)
- Tim Parks “Italian ways, on and off the rails from Milano to Palermo”, Vintage books, 2014
- Alessandro Barbero “bella vita e guerre altrui di mr. Pyle, gentiluomo”, Mondadori, 2018
- John Douglas “mindhunter: la storia vera del primo cacciatore di serial killer americano”

domenica 26 luglio 2020

Mali 2000

Quando il Mali era un paese in pace...
Mia zia è una suora missionaria (nel momento in cui scrivo non c’è più) e in questo momento (cioè nel 2000) sta in Mali. Dopo averle fatto visita nel 1997 in Costa d’Avorio (quando non avevo ancora il blog e non c’erano le foto digitali), decido che è il momento di tornare in Africa. Lei si trova nella capitale Bamako ma io mi sono documentata e ho visto che quel paese offre delle meraviglie che non posso perdere. Quindi arrivata a Bamako con mia cugina Anna, mi metto alla ricerca di una guida con cui girare il paese, impresa abbastanza complicata perché non è difficile che capiti di essere lasciati derubati e tramortiti da qualche parte...
Alla fine trovo Camille di cui decido di fidarmi e con cui parto dopo qualche giorno, zaino in spalla, verso il nord e verso i famigerati paesi Dogon.

Per iniziare un po’ di storia, che non guasta mai quando bisogna capire un paese (testo tratto da www.mali.it)

La storia del Mali è talmente antica che il paese può vantare delle pitture rupestri risalenti al tempo in cui il Sahara era un paradiso di lussureggiante vegetazione. Il primo impero di cui si ha notizia nella regione fu quello del Ghana, distrutto nell'XI secolo dai Berberi musulmani provenienti dalla Mauritania e dal Marocco, che non gradirono molto il tiepido assenso incontrato nella zona dalla loro religione. Verso la metà del XIII secolo, tuttavia, Sundiata Keita, capo dell'etnia mandinka, fece strategicamente convertire il suo popolo all'Islam e ottenne il monopolio del commercio dell'oro e del sale. Grazie all'influenza di alcuni Mansa (signori) di ideali progressisti, Djenné e Timbuktu divennero le Shangri-la mercantili dell'Africa occidentale: vi sorsero numerose moschee e un paio di università, costruite nell'intento di creare un impero vasto e potente.
A est i Songhai avevano nel frattempo fondato una città nei pressi di Gao; questa etnia era potente e ben organizzata e, soprattutto, si era data molto da fare per creare un esercito di professionisti e una burocrazia efficiente, mentre l'impero del Mali era invece impegnato a costruire le sue università. Quando i due popoli infine si confrontarono, i mercanti e gli studenti dovettero soccombere ai soldati e ai burocrati e l'impero songhai si impadronì del Sahel. Questa vittoria fu però di breve durata e la dominazione durò un secolo soltanto, prima di un nuovo e brutale scontro con i Berberi marocchini. In quello stesso periodo le navi europee avevano iniziato a percorrere in lungo e in largo la costa dell'Africa occidentale, aggirando così le rotte commerciali del Sahara e riducendo sul lastrico il ricco Sahel. La città di Timbuktu venne infine abbandonata e acquisì la fama di località remota e inaccessibile.

Nel 1883 il Mali divenne una colonia francese e, nonostante la costruzione di qualche tratto di ferrovia e di vari sistemi d'irrigazione, il paese fu sempre considerato il parente povero delle altre colonie dell'Africa occidentale. Nel giugno 1960 ottenne finalmente l'indipendenza e si unì al Senegal in una federazione che avrà vita breve e travagliata: nell'agosto successivo, infatti, il Senegal si staccò e Modibo Keita divenne il primo presidente della repubblica del Mali.

Questa è la tipica architettura dei paesi del Mali, detta architettura sudanese. Tutti i paesi sono costruiti con il banco (che si legge con l’accento sulla o), un semplice impasto di terra e acqua. 




In Mali ci sono stata tutto il mese di settembre e il 22 settembre è la festa nazionale del Mali, il giorno in cui nel 1960 il paese ottiene la sua indipendenza dalla Francia e diventa una repubblica. Qui mi trovo nella città di Mopti, nel mezzo del paese, ultimo avamposto prima di entrare nella terra dei Dogon e anche uno dei luoghi dove si può ammirare il Niger.


Vista dei cortili interni dai tetti di Mopti.


Celebrazioni per le vie di Mopti. La gente si è tutta riversata per strada, a piedi, su carri o camion. Tiene in mano degli arbusti oppure i loro strumenti di lavoro. Credo che la processione sia suddivisa per professioni; ognuna ha il suo carro di rappresentanza.



Da una piroga sul Niger osservo questo grandissimo fiume che in questo giorno di festa è affollato e colorato. C’è anche una gara di piroghe!









La moschea di Djenne, uno degli esempi più belli di architettura in banco del paese. Ogni anno queste strutture richiedono manutenzione dopo le piogge. La stessa piazza con e senza mercato. Purtroppo, da non musulmana, la posso vedere solo da fuori.


Finalmente l’arrivo nei paesi Dogon, popolo situato sulla falesia di Bandiagara. 
I Villaggi Dogon hanno queste costruzioni tipiche solo di questo popolo, ma fatte comunque in banco; alcune sono abitazioni, alcuni granai, alcuni luoghi di riunione.


Riporto un valido testo (quindi non scritto da me) in cui è ben spiegata la storia dei Dogon.
(Tratto da emotionsmagazine.com, testo di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini) 
 Nel cuore del Mali, a sud del grande delta interno formato dal fiume Niger, vive in un contesto ambientale assai affascinante una delle più interessanti tra le venti etnie che compongono questa nazione sahelo-sahariana. Secondo gli etnologi i Dogon costituirebbero una delle popolazioni più interessanti dell’Africa occidentale. Non a caso nel 1989 l’Unesco ha inserito il territorio Dogon nella lista del Patrimonio dell’Umanità.

Questa etnia, circa 250 mila individui, abita la vasta e arida regione di Bandiagara, un altopiano di roccia di arenaria che precipita improvvisamente sulla pianura sottostante con una scenografica falesia verticale alta diverse centinaia di metri e lunga oltre 150 chilometri. Ignoriamo l’origine di questo popolo e sappiamo soltanto che tra il XIII e XVI secolo colonizzarono questa regione inospitale, forse per sfuggire all’espansionismo islamico degli imperi medievali sorti a quell’epoca sulle sponde del Niger. Al loro arrivo la zona era abitata dai Tellem, popolazione locale descritta come di bassa statura e pelle rossiccia (forse pigmei o boscimani), che abitavano in villaggi di roccia e di fango letteralmente abbarbicati sulla falesia, e seppellivano i loro morti nelle grotte aperte a notevole altezza in verticale assoluta. I Dogon, che continueranno ad abitare i villaggi sulla falesia, collegati tra di loro da sentieri aerei da vertigine, e ad usare le caverne naturali come necropoli (issando però i defunti con funi), sostengono che i Tellem sapessero volare oppure che usassero poteri magici per raggiungere simili altezze. Forse, ma è soltanto un’ipotesi, parecchi secoli fa il clima più umido poteva favorire la crescita sulla scarpata di piante rampicanti, tali da poter essere usate come scale naturali per individui di peso ridotto. Imparando dai loro predecessori a colonizzare le rupi verticali e a celarsi nelle grotte, i Dogon riuscirono a sottrarsi per secoli alle incursioni degli schiavisti, agli attacchi di altri popoli aggressivi e poi ai colonialisti francesi. Ma, soprattutto, riuscirono a conservare la loro religione animista, che fa perno su una complessa cosmogonia tramandata solo oralmente e attraverso gli iniziati, e le antiche tradizioni, vivendo secondo un complesso sistema sociale ben organizzato, con un’economia di sussistenza basata su agricoltura, allevamento, caccia, artigianato e piccoli commerci di scambio con le popolazioni vicine.

Grazie al loro isolamento, fino al 1930 dei Dogon non si sapeva quasi nulla. Dal 1931 al 1952 l’etnologo francese Marcel Griaule e l’antropologa Germaine Dieterlen vissero per lunghi periodi nei diversi villaggi per studiare le loro abitudini e gli stili di vita, scoprendovi una visione religiosa e metafisica complessa e assolutamente inimmaginabile per un popolo che viveva ancora nella protostoria. Ma furono soprattutto le rivelazioni di un vecchio hogon, un capo religioso e spirituale cieco e ottantenne, a svelare le loro incredibili conoscenze scientifiche, in particolare in campo astronomico. La divulgazione delle conoscenze di questo popolo contenute nel libro Dio d’acqua, pubblicato da Griaule nel 1948, determinarono un vero shock per l’Occidente e pongono ancora oggi inquietanti interrogativi tutt’altro che risolti.”

Questa è la falesia di Bandiagara, in fondo si vede il confine con il Burkina Faso (ovviamente potete solo immaginarlo, non c’è alcuna dogana, almeno credo...). Sopra e attorno ad essa ho camminato per una settimana, girando di villaggio in villaggio ma evitando accuratamente la capitale Sanha che sapevo essere la meta preferita dai turisti che vogliono vedere i paesi Dogon, comprare due chincaglierie e tornare a casa.


La mia guida, Camille, con un capo villaggio.


Tipici granai dei villaggi Dogon, sopraelevati x evitare i topi (credo). Qui sopra invece la vista sulla pianura sottostante, risalendo sulla falesia.


La savana è  per lo più coltivata a miglio. Ho trovato un pozzo costruito dai giapponesi. Ma in mezzo alla falesia, nascosta dalla vegetazione, ad un certo punto c’è una cascata incredibile che forma un laghetto. Dopo aver camminato con 50 gradi o giù di lì, quella è veramente un’oasi.
 I Dogon sono un popolo pacifico e laborioso, che in un territorio arido sono riusciti a creare delle vere oasi di verde con coltivazioni a terrazze e piccole dighe in pietra per la raccolta dell’acqua. Vivono essenzialmente di agricoltura, producendo miglio, sorgo, tabacco, spezie e le migliori cipolle del Mali, e la farina di miglio, dalla quale ricavano anche una diffusa birra locale, è alla base dell’alimentazione.”


Il luogo dove gli anziani Del villaggio si riuniscono per prendere decisioni.
 Oltre alle abitazioni private in fango e in pietra ed ai caratteristici granai cubici con il tetto conico di paglia, ogni villaggio presenta strutture comuni caratteristiche: il togu-na, una bassa costruzione aperta retta da 8 pali istoriati e sormontata da uno spesso strato di fascine di miglio, che sorge nel punto più alto e serve ad ospitare le riunioni del consiglio, la casa-tempio dell’hogon, gli altari a forma fallica per i sacrifici e numerosi tempietti per i feticci, gli omolo, oltre ad una casa fuori dal villaggio dove vanno a risiedere temporaneamente le donne mestruate.”



La casa del “medico” del villaggio.
 Animisti convinti, i Dogon vedono il mondo come una cosa unica dove convivono in armonia il mondo delle cose, degli animali e degli uomini, dove l’uomo non è il padrone assoluto ma soltanto un elemento che come gli altri partecipa al mondo. Essi hanno costruito una complessa cosmogonia, dove il tutto risulta contenuto in germe in ogni sua parte, con simbolismi e rituali presenti in ogni gesto della loro vita quotidiana. Semplificando al massimo, essi credono nella sopravvivenza dell’anima e in un unico dio, Amma, creatore dell’universo, il quale si accoppiò con la terra generando i Nommo, due gemelli ermafroditi e anfibi, metà uomo e metà pesce, i quali a loro volta generarono otto esseri umani, quattro maschi e quattro femmine, gli antenati dei Dogon, che si sparsero per la terra insegnando le diverse arti.”


Tipico artigianato dei Dogon (molto ricercato dagli antiquari occidentali): una scala (io la usavo quando la sera salivo sui tetti delle case a dormire perché faceva meno caldo che dentro le case) e una porta.
Il ricordo che ho di quelle notti sono le zanzare di notte e all’alba il rumore delle mosche che arrivavano a sostituire le zanzare...
 La loro vita è costellata di feste e cerimonie, riservate esclusivamente agli uomini, di cui la più importante è il Segui, che si celebra ogni 60 anni per festeggiare la fine e l’inizio di un ciclo di vita, quando la stella Sirio compare in un punto preciso del cielo.”


Dice Marco Aime, antropologo e grande conoscitore dei Dogon:

l’attività scultorea per la quale questo popolo è diventato famoso, è un’arte totalmente intrisa di religiosità. Le statue lignee rappresentano spesso la dea madre, evocano la fertilità e la sacralità della natura. Le opere più antiche sono state portate via dai collezionisti europei, ma gli artigiani locali le hanno riprodotte e inserite anche nelle abitazioni.


AGGIORNAMENTO 2020
(Tratto dalla rivista Africa, testo di Marco Aime)
Il leggendario popolo del Mali che abita la falesia di Bandiagara, un tempo oasi di pace frequentata dai turisti, è sconvolto dalle violenze di matrice etnica e jihadista che stanno insanguinando la regione.

I turisti però oggi non arrivano più. Anche sotto la falaise è arrivata l’ombra strisciante del jihadismo, ed è arrivata con il volto dei Peul, i tradizionali allevatori della savana. Tra di loro e le popolazioni sedentarie locali non è mai corso buon sangue, ma in qualche modo si era stabilita una certa forma di convivenza: dopo il raccolto i bovini potevano pascolare sui campi, fornendo letame, assai ambito dai contadini, che non possiedono altri tipi di fertilizzante. I Peul ricevevano in cambio miglio, altri prodotti alimentari e talvolta anche piccole somme in denaro. Di tanto in tanto nasceva qualche lite, perché i Peul invadevano i campi prima della fine del raccolto. Gli scontri tra i giovani dei villaggi, armati di bastoni e coltelli, e i pastori erano talvolta degenerati ed erano state sequestrate centinaia di vacche. Il tutto si limitava a scontri per il bestiame e i campi. Negli ultimi anni, però, qualcosa è cambiato: l’ondata fondamentalista, iniziata nel 2011 con l’occupazione del Mali settentrionale, dopo una prima fase “militare” si è trasformata in una penetrazione silenziosa di elementi islamisti nei villaggi del Mali, tra cui quelli Dogon.

Questo ha provocato numerosi scontri, anche a fuoco, con molti morti, al punto che i Dogon hanno formato una sorta di milizia etnica a metà tra un’associazione di cacciatori e un corpo paramilitare, chiamato Dan Na Ambassagou, che nel marzo 2019 con un assalto armato ha raso al suolo il villaggio di Ogossagou, tra Mopti e la frontiera con il Burkina Faso, lasciando a terra oltre 150 vittime, tutti civili di etnia peul trucidati senza pietà a colpi di machete e armi da fuoco mentre veniva dato alle fiamme l’intero villaggio. L’eccidio è stato motivato dagli assalti jihadisti condotti dai miliziani del Macina – guidati dal predicatore Peul Amadou Koufa e inquadrati nella principale coalizione jihadista del Sahel, il “Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani”, di fede qaedista – e dalle sempre maggiori pressioni dell’ondata islamista. Negli ultimi mesi sono filtrate dalla regione frequenti notizie di scontri a fuoco, villaggi incendiati, raid punitivi e stragi di civili, in una spirale di violenza interetnica alimentata dai predicatori dell’odio. É notizia del 4 luglio scorso il massacro di almeno 40 Dogon registrato nella regione di Mopti, la stessa della falesia, episodio che ha ulteriormente aggravato un bilancio spaventoso: in Mali, nel 2020, sono stati uccisi oltre 600 civili. Il tutto, sotto lo sguardo indifferente dell’esercito maliano, rimasto inerte di fronte a questi violenti episodi. I Peul vengono oggi considerati dai Dogon, nel migliore dei casi, dei collaborazionisti. Il mosaico etnico del Mali è andato drammaticamente in frantumi per gli effetti collaterali della disgregazione della Libia e per la diffusione tossica del radicalismo religioso di stampo wahhabita, che un tempo era marginale in questi luoghi. Difficile dire quale sarà il futuro di questo ex pacifico popolo di coltivatori. Nere nubi si affacciano all’orizzonte.

Parole chiave: pinasse, taxi-brousse, Baobab, toubab, banco, Ali Farka Touré 

BIBLIOGRAFIA
- Vittorio Franchini, “Mali: viaggio tra i Dogon: il popolo delle stelle”, ed. Polaris 
- Marco Aime, “Diario dogon”, ed. Bollati Boringhieri 
- “Dio d’acqua”, Marcel Griaule, Bollati Boringhieri 
- Sebastian Schutyser “Banco, moschee di terra cruda del delta interno del Niger”, ed. 5 continents