23 luglio New York
“Il treno, con i suoi agi di tempo e i suoi disagi di spazio, rimette addosso la disusata curiosità per particolari, affina l’attenzione per quel che si ha attorno, per quel che scorre fuori dal finestrino” (Tiziano Terzani)
Questa avventura non inizia oggi ma è iniziata a novembre quando abbiamo prenotato il volo. Quello è stato il primo passo. Sono seguiti mesi di preparazione, incontri, dubbi ma anche eccitazione, fantasie e tante, tante aspettative.
E adesso sto attraversando l’oceano sull’aereo più grande su cui sia mai salita. Addirittura a due piani. Abbiamo deciso di viaggiare con Emirates. Dopo il viaggio in Nepal in cui viaggiai con Qatar Airways, decisi che per i viaggi importanti avrei scelto gli arabi. E così è stato.
La prima preoccupazione è quella legata al mettere piede sul suo statunitense e passare dalle forche caudine della famigerata ICE, la polizia di frontiera, che ultimamente fa parlare di se’ per la gente che ogni tanto respinge. Per non parlare di quelli che mandano all’alligator alcatraz…
Io e Rosi non cerchiamo lavoro e non siamo qui x studiare, quindi dovremmo passare indenni la frontiera, però…
A Malpensa, prima di metterci in coda per il check-in, ci avevano già chiesto la durata del viaggio, perché, dove e chi aveva organizzato.
In coda per il boarding conosciamo una famiglia di New York che in Italia è stata a Milano e nel Sud Tirolo, come loro lo chiamano.
Dopo anni si è ricostituita la coppia della Transiberiana e Transmongolica, nel 2013. L’elemento comune è ancora il treno. Quell’anno avevamo fatto più di 9000 km. Vediamo quest’anno… per ora ne abbiamo fatti 6314, tra Milano e New York.
La frase di Terzani che ho messo all’inizio di questa giornata racchiude il motivo per cui il treno mi/ci attira così tanto. Racchiude in parte quello che per me è il treno. Voglio però aggiungere una parte importante, cioè l’incontro con le persone, tutte le storie che avrò modo di incrociare in questi 23 giorni in giro per gli States.
Alla fine la polizia ci ha fatto entrare negli Stati Uniti. Il poliziotto ci ha chiesto perché eravamo qui, cosa avremmo visitato e quanti giorni saremmo state nel paese. Fotografia, impronte digitali e possiamo entrare.
Muoversi coi mezzi pubblici per New York non è proprio facile. Dobbiamo cambiare un po’ di linee prima di arrivare a Columbus Circle dove poi a piedi raggiungiamo il nostro ostello, YMCA.
Diciamo che l’ostello non è proprio il massimo… è una via di mezzo tra una caserma sovietica e un posto un po’ vintage… dormiremo solo due notti senza spendere l’esagerazione che chiede questa città per dormirci ma questo posto è veramente spartano.
24 luglio New York
"Date a me le vostre stanche, povere, rannicchiate masse desiderose di respirare libere, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata!" (Emma Lazarus)
Oggi inizio con la frase incisa sul piedistallo della Statua della Libertà, tratta dal sonetto “the new colossus”, scritto dalla poetessa Emma Lazarus. E inizio con questa frase perché buona parte della giornata è dedicata a quella parte della storia degli Stati Uniti che c’è stata solo perché da questa porta sono passate milioni di persone e la prima cosa che vedevano era la Statua della Libertà.
Ci svegliamo molto presto (nella nostra nicchia sovietica) e così possiamo uscire e goderci la città che non è ancora completamente sveglia. Troviamo un bar dove mangiare degli ottimi pancake con frutta e poi ci dirigiamo a piedi a sud. Dobbiamo arrivare a Battery Park, punta sud di Manhattan, da dove partono i traghetti. Dopo un po’ che camminiamo, decidiamo che forse la strada è troppa e dobbiamo usare un mezzo. Mi cade l’occhio su un bus con la nostra destinazione e così ci saliamo. Usare i mezzi di superficie in effetti offre un’altra prospettiva rispetto alla subway, peccato il traffico… alle 9.45 parte il nostro traghetto e non possiamo perderlo. Ad un certo punto scendiamo e prendiamo un taxi (guidato da un greco) che ci catapulta ai ferry, per poi scoprire che la coda è immane e arrivare entro le 9.45 non era assolutamente fondamentale!
Nel frattempo la giornata limpidissima è diventata anche calda ma la navigazione è veramente piacevole.
La prima tappa è quindi Liberty Island dove si trova la Statua della Libertà, che - devo dire - è in effetti maestosa e fa la sua figura. Noi abbiamo deciso di non salirci sopra ma solo di girarci attorno. Quello che ci interessa è prendere il traghetto per Ellis Island dove c’è il museo dell’immigrazione, creato nei locali in cui si accoglieva (o si respingeva) chiunque arrivasse via mare negli Stati Uniti, dal 1890 al 1954, quando smise di funzionare.
È un museo veramente interessante, molto ben documentato e fatto bene, che ripercorre tutte le fasi che ogni persona doveva attraversare per essere valutata idonea, quindi non malata (di tracoma o altre malattie infettive) o malata di mente oppure con precedenti penali. Altrimenti avrebbe potuto passare del tempo nell’ospedale in attesa di guarire oppure sarebbe stata rispedita indietro. L’audio guida permette di ascoltare la voce di coloro che raccontano la loro esperienza attraverso questa procedura. Dalla sala nella foto qui sotto iniziava tutta la trafila dei migranti.Curiosità: l’anno in cui arrivò più gente fu il 1907.
Oggi ho anche scoperto che l’ostello in cui dormo, YMCA, era una associazione che si occupava di accogliere i migranti che arrivavano a Ellis Island, la Young Men Catholic Association.
Un’altra parte del museo invece racconta le caratteristiche della migrazione negli USA in questi anni, perché si emigra, come, da dove. Sezione molto interessante che richiederebbe una visita a sé. Col traghetto torniamo di nuovo a Battery park e mi porto dietro tante delle storie che ho ascoltato oggi.
Finalmente ci concediamo (a metà pomeriggio) il pranzo e poi ci incamminiamo verso il prossimo obiettivo che è il memoriale dell’11 settembre. Nel frattempo passiamo da Times Square (qui sopra).
Come si fa a commentare questa cosa?! L’11 settembre è l’11 settembre… un evento che ha segnato la nostra epoca e che tutti ci ricordiamo benissimo dove eravamo in quel momento. Forse una delle poche cose della ns vita che ricordiamo con tanta precisione.
E a proposito di citazioni, di frasi e di ricordo, su uno dei muri del Memoriale e del museo è scritta la frase No day shall erase you from the memory of time, che ricorda (o è la traduzione) del verso virgiliano «nulla dies umquam memori vos eximet aevo» («mai nessun giorno al ricordo vi toglierà dei futuri»).
Adesso vogliamo dirigerci verso nord ma magicamente andiamo verso sud e ci ritroviamo a Battery Park. Allora decidiamo di prendere la metro e fare tutta la strada che ci separa da Central Park in metro. Per capirci qualcosa con le linee della metro dobbiamo sempre chiedere, è veramente complicata questa subway… comunque arriviamo a Columbus Circle. Anche se siamo stanche entriamo a Central Park a fare due passi (come se ne avessimo fatti pochi oggi) e ci fermiamo a vedere una partita di baseball. Finita la partita, un po’ stanchine, torniamo in ostello.
Ultima nota antropologica. Credo che se adesso facessi le urine, risulterebbero positive alla cannabis. Oggi solo di fumo passivo mi sarò fatta un paio di canne. Se c’è un odore che oggi ho sentito persistente, è quello!
25 luglio New York- Boston (345 km)
Sveglia prestissimo perché tanto ieri sera non abbiamo fatto bagordi, così stamattina prima delle sette siamo già al bar a fare colazione. Alle 7.30 ci aspetta il taxi per andare alla Penn Station. Oggi sperimentiamo i treni che ci faranno attraversare questo paese. La stazione è piuttosto monumentale, con un bel soffitto in vetro, molto ordinata e pulita, non troppo affollata e offre una ottima scelta di negozi e ristoranti. Quando esce il binario ci incolonniamo e scendiamo nei sotterranei, perché i treni partono sottoterra.
I posti non sono assegnati. Le poltrone sono confortevoli anche se oggi il viaggio è solo di poco più di 4 ore. Usciti da New York attraversiamo alcune città che hanno le caratteristiche della periferia ma dopo un paio d’ore il paesaggio si addolcisce, spariscono i grattacieli, le case diventano tutte molto belle e basse. Compaiono dei fiumi molto grandi e poi il treno costeggia una costa molto verde che si affaccia sul mare. Siamo nel Connecticut.
La corsa prosegue sulla costa dove il verde arriva fino al mare. Dopo New London il treno si allontana dal mare ed entra nel Massachusetts per arrivare puntuale a Boston, stazione di south station.
Abbiamo sbagliato a prendere il pernottamento… risulta troppo fuori rispetto al centro e così, visti i bagagli, ci tocca prendere un taxi per andare a Dorchester, un quartiere a Boston sud. Abbiamo trovato una applicazione, Lyft, che è una specie di Uber; non sono tassisti ufficiali ma sono molto efficienti e abbastanza economici e la modalità tramite app è molto facile da usare.
Raggiunta la casa vittoriana dove dormiremo stanotte, lasciamo i bagagli. Scopriamo che c’è una linea diretta della metropolitana che porta a downtown e così partiamo alla volta del centro storico. Il modo migliore per girare Boston e soprattutto conoscere la sua storia è percorrere il Freedom Trail, un percorso di 4 km che collega tutti i luoghi storici della città dove per la prima volta è stata letta la Dichiarazione di Indipendenza il 4 luglio 1776, dando vita agli Stati Uniti d’America.
Boston è una classica metropoli coi grattacieli che però affianca case ed edifici di origine coloniale, quindi europea. In effetti in questa città, oltre a non sentirsi persi di fronte a mille possibilità e a mille scelte come a New York, noi europei ci sentiamo probabilmente molto più a nostro agio.
La parte conclusiva del Trail passa attraverso Little Italy, praticamente un susseguirsi continuo di ristoranti italiani. In questo we il quartiere fa festa credo per qualche santo o qualche ricorrenza, o forse per tutte e due, e anche il ponte che attraversa il fiume ha le luci che formano il tricolore.
Dopo aver concluso il Freedom Trail, torniamo a downtown al Quincy Market x cenare. Io ho deciso che stasera voglio un Lobster roll, un panino all’astice. A qualunque costo
… e se i prezzi del cibo negli USA sono decisamente sopra la media, quello del Lobster roll è proibitivo. Ma per una volta me lo voglio concedere.
Ceniamo in un ristorante all’aperto in una bella piazza mentre sul maxi schermo giocano i Red Sox, baseball, che qui sono molto seguiti.
Oggi c’è un caldo pazzesco, con una umidità fuori dal normale… e ogni tanto arriva un acquazzone… che regala un arcobaleno come quello qui sotto. Gli sbalzi tra dentro e fuori, locali con aria condizionata a manetta e locali a temperatura ambiente, sono folli.
Boston ci è piaciuta molto, a misura di persona, senza distanze particolarmente esagerate e con una metropolitana la cui mappa è leggibile.
L’unica forse situazione negativa da segnalare a Boston, rispetto ad esempio a New York, è la notevole presenza di homeless e/o persone stravolte da una qualche forma di droga.
Adesso io sono stravolta e dormo.
P.s. Nel frattempo ho scoperto che qui la cannabis è legale. Per questo la fumano tutti…
26 luglio Boston- Chicago (1586 km)
Paesi attraversati: New York, Pennsylvania, Ohio, Indiana, Illinois
Prima di lasciare Boston abbiamo tempo x visitare qualcosa. Oggi la temperatura è perfetta, non c’è afa e soffia una leggera brezza. Quindi decidiamo di andare a Cambridge a visitare Harvard. Possiamo solo camminare per i bellissimi parchi e osservare da fuori queste strutture in mattoni molto eleganti e severe. Anche se non ci sono studenti in giro, l’idea di quante e quali persone incredibili hanno studiato o insegnato lì’ dentro fa effetto. Qui sotto io mentre aspetto che Trump decida di riammettere gli studenti stranieri ad Harvard.
Dopo aver fatto un salto al fiume dove gareggiano le squadre di canottaggio (non oggi), facciamo un giro per i negozi della piazza principale, un salto in una libreria dove avrei preso mille libri e torniamo alla South Station dove recuperiamo i bagagli. Amtrak ha fatto un cambio a causa di lavori sulla linea; quindi fino ad Albany (stato di New York) andiamo in autobus. A parte qualche piccola cittadina, i territori attraversati sono costituiti da boschi infiniti e da fiumi enormi, case abbastanza sparse ben tenute, con giardini perfettamente tagliati, nessuna recinzione, mega pick-up parcheggiato e bandiera che sventola.
In stazione conosco una signora (molto in ansia per il treno che deve prendere, il nostro) che era sposata ad un italiano il cui padre (di cognome Egizi) arrivò da Ellis Island.
Arrivate ad Albany, dopo un’ora di sosta, finalmente saliamo sul Lake Shore, il treno che ci porterà a Chicago tra poco più di 1300 km. Fino a quando il sole non tramonta, il paesaggio resterà così: foreste, foreste, foreste.
Questa notte stiamo sul treno-ghiacciaia e l’arrivo previsto e’ domattina alle 10.
L’esperienza finora con Amtrak è stata eccellente, il personale è molto carino e disponibile. I treni tutto sommato sono abbastanza usati qui negli States; forse non è vero che tutti viaggiano in aereo.
27 luglio - Chicago
A proposito di esperienza eccellente con Amtrak… anche se poi non è un problema del gestore dei treni ma degli Stati Uniti in generale: l’aria condizionata. La notte passata in treno è stata terribile per il freddo che ho sofferto e quindi per il pochissimo tempo che sono riuscita a dormire. Abbiamo provato a coprirci con qualsiasi cosa ma è stato inutile. Risultato notte complicata e sveglia col primo sole.
A Chicago scatta il primo fuso orario quindi si aggiunge un’ora di treno e quindi di ghiacciaia…
Per quasi tutto il tempo attraversiamo territori caratterizzati da foreste, da campi oppure da piccole fabbriche. Avvicinandosi a Chicago si iniziano a vedere grosse fabbriche, alcune chiuse, altre ancora operative. Stiamo attraversando il Midwest.
Questa storia è anche quella di JD Vance , il vice di Trump, e della sua famiglia raccontata in maniera molto appassionata nel suo libro autobiografico che mi sto portando dietro e leggendo nei momenti liberi. Si intitola “Elegia americana” e lo consiglio caldamente. E’ la storia di un vero resiliente.
Arrivate a Chicago prendiamo un Lyft per l’ostello. questa volta siamo all’Hi hostel Chicago, una catena di ostelli americana. Il posto è molto carino anche se un po’ disorganizzato ma è in una zona centrale.
Lasciati i bagagli, iniziamo a girare per il centro (che qui chiamano Loop) e ci dirigiamo verso il lago Michigan. È talmente grande che non si vede la fine ed è a tutti gli effetti il mare dei cittadini di Chicago. C’è una spiaggia e la gente che fa il bagno. Ma noi vogliamo andare sulla Navy Pier, costruzione che si protende verso il lago e che all’inizio ha un grande edificio che offre tanti modi di mangiare e di fare shopping.
Dopo pausa pranzo concludiamo il nostro giro sulla Pier sotto un caldo afoso e pesante.
Alle 16 abbiamo appuntamento con una crociera che ci porterà a capire l’architettura di questa città, soprattutto quella legata ai grattacieli e ad alcuni famosi architetti, tanto da formare quella che viene chiamata la Scuola di Chicago. In questa città hanno costruito il primo grattacielo al mondo e “inventato” il grattacielo con il balcone, nel senso che qui sono molte queste costruzioni col balcone. Il bello è che questa volta la visuale della città è appunto dal fiume quindi acquista un fascino maggiore.
Devo dire che lo Skyline di Chicago non è meno rispetto a quello di New York. Tra i vari grattacieli da segnalare ce n’è uno che ha una grandissima scritta davanti: TRUMP. È la Trump tower di Chicago. Sarebbe dovuto diventare il grattacielo più alto degli US ma dopo l’11 settembre Donald cambiò idea. È comunque enorme e altissimo. Qui a Chicago c’è anche il Wilis tower che fino al 1988 è stato il più alto al mondo.
Dopo esserci rimesse un po’ in sesto nel nuovo in ostello, usciamo giusto per bere una birra veloce e incrociare un po’ di topi che gironzolano sul marciapiede.
Comunque Chicago x ora mi piace molto. È chiamata la Second city perché, dopo un incendio nel 1871, fu praticamente ricostruita e, siccome qui iniziava l’epoca dei grattacieli, molti famosi architetti si sono cimentati.
E poi la chiamano Windy city ma non perché è ventosa (anche) ma per i “venti politici” che spirano qui. Ad esempio è la città di Obama. La migrazione afroamericana dal sud schiavista fu importante e trovò un tessuto sociale e civile migliore.
Anche la comunità LGBTQAI è molto presente e rappresentata in città.
E poi è la città di Al Capone. Come fai a non comprare una mug con la sua effigie il cui manico è una pistola?!
E ultimo ma non ultimo: questa è la patria del jazz e del blues, anche grazie alla popolazione nera di cui parlavo prima. Come non ricordare i mitici Blues Brothers, uno dei film più iconici della storia del cinema?!
Dalla nostra finestra si vede un’altra cosa per cui è famosa Chicago: la sua metropolitana ( chiamata L) che è quasi tutta in superficie e che taglia e attraversa la città su una sopraelevata di ferro. La si vede in tantissimi film e telefilm. Io me la ricordo ad esempio in ER, medici in prima linea, che lanciò un giovane George Clooney.
Ci fermiamo tre giorni quindi avrò un sacco di cose da raccontare ancora.
28 luglio - Chicago
Al museo c’è parecchia gente ma noi abbiamo già il biglietto da tempo e quindi entriamo subito e la nostra visita finisce solo alle 4.00 pm. Il museo è veramente enorme. Ha una parte di arte antica (cinese, giapponese, greco-romana, indiana…), poi ha una parte del ‘500, ‘600 e ‘700, un settore sull’impressionismo e una buona di arte americana.
E poi American gothic
Oggi abbiamo prenotato un altro tour, questa volta su gangster e fantasmi. Ci interessano soprattutto i gangster e la storia della Chicago di Al Capone. Figlio di immigrati dalla zona di Napoli Al Capone, assieme a tutti gli altri boss della mafia italiana, ha veramente segnato la storia di questa città negli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso, grazie anche a politici corrotti. Nonostante i numerosissimi attentati che subì e la carcerazione ad Alcatraz, solo la sifilide riuscì a fermarlo a 48 anni.
Le storie dei fantasmi narrate dalla nostra guida Chris sono invece legate ad alcuni gravi incidenti come un traghetto affondato nel fiume, un incendio in un teatro oltre a H.H. Holmes, uno dei più prolifici serial killer, a metà dell’800.
Oggi il caldo è imponente, soprattutto dopo la camminata sotto il sole con Chris (il tour era a piedi); quindi ci prendiamo una pausa in ostello. Usciamo di nuovo a metà pomeriggio. Giriamo ancora un po’ sulla Michigan (ormai abbiamo capito che a Chicago ruota tutto attorno a questa strada), prima ci dirigiamo verso la Washington Public Library, un edificio enorme che contiene una biblioteca, e poi andiamo sulla Riverwalk. È la zona pedonale di Chicago che costeggia il fiume, dove ci sono alcuni locali carini che si affacciano, appunto, sul fiume.
Nonostante facciamo una consumazione che si avvicina più ad un aperitivo che ad una cena, il conto è folle! Ci rendiamo sempre più conto che qui la vita è troppo cara e il centro città non offre la possibilità di fare una spesa in un supermercato “normale”. Gli unici negozi di alimentari offrono “cose” che non si possono definire cibo ma solo junk food della peggior specie.
30 luglio- 1 agosto Chicago- Emeryville- San Francisco (3924 km)
Paesi attraversati: Iowa, Nebraska, Colorado, Utah, Nevada, California.
Considerato il cibo di pessima qualità e dai costi elevatissimi, per fare scorta di cibo che ci servirà per il viaggio verso la California, andiamo a cercare un posto che si chiama French Market. È un mercato coperto in cui ci sono molti stand con varie tipologie di cibo (francese, italiano, coreano, cinese, cubano, ecc). Recuperiamo un po’ di cibo che sembra di buona qualità e, soddisfatte, ci dirigiamo verso l’ultima missione di oggi: comprare una coperta.
Dobbiamo passare due giorni interi e non posso pensare di soffrire il freddo che ho sofferto tra Boston e Chicago. Quindi per l’ennesima volta percorriamo Michigan Av. e il Magnificent Mile e finalmente recupero una cosa che possa essere assimilata a una coperta. Ora sono più tranquilla e possiamo partire.
Questa mattina mi sono tolta l’ultimo sfizio di Chicago cioè viaggiare sulla metropolitana sopraelevata, che qui viene chiamata The L (cioè elevated), in funzione dal 1892, che ancora adesso continua a sferragliare.
Questo treno percorre la prima linea transcontinentale americana, ultimata nel 1896. Finalmente per arrivare nel selvaggio West non si impiegavano sei mesi a cavallo e le due coste di questo immenso paese erano finalmente collegate.
Specifico ai miei lettori che in questi due giorni non avrò molto da scrivere. Magari scriverò della varia umanità presente su questo treno.
Per ora posso dire che le poltrone sono reclinabili e molto comode, abbiamo molto spazio davanti a noi; inoltre è a due piani e noi siamo al piano di sopra.
Ad un certo punto attraversiamo il Mississippi ed entriamo in Iowa. La foto presa da una sponda non rende l’idea della portata che ha questo fiume quando lo attraversiamo col ponte.
Il pomeriggio scorre velocemente mentre ci ambientiamo nella carrozza che fortunatamente non è piena.
Al tramonto ci spostiamo invece nella carrozza con il tetto trasparente e ci si para davanti un sole rosso di una intensità incredibile che si riflette sulla pianura verde.
Nella notte entriamo in Colorado e fino a Denver il paesaggio è piatto e prevalentemente agricolo (si vedono campi e mucche).
Dopo Denver il treno deve superare le montagne rocciose che si vedono quasi subito in fondo alla pianura. Un po’ alla volta iniziano le conifere, distese immense di conifere, mentre il treno sale lentamente, affiancando strade sterrate e quello che poi scopriamo essere il fiume Colorado.
Poi il treno prosegue in piano a velocità ridotta dentro la vallata. Per un po’ di ore seguiamo il fiume Colorado che fa continuamente delle anse; il paesaggio intorno è verde per le conifere o rosso per le rocce. Questo è un fiume molto tranquillo e infatti sono molte le canoe e i canotti che fanno rafting. Quando il treno passa, le possibilità sono due: alcuni ci salutano, altri abbassano le mutande e ci fanno vedere il sedere… vabbè…
Ad un certo punto ci annunciano che siamo a metà strada tra Chicago e San Francisco.
Attraversare il Colorado ci prende parecchie ore, praticamente dalla mattina al tramonto. Dopo si entra nello Utah e qui molti scenderanno a Salt Lake City, ma probabilmente durante la notte.
Il deserto ci regala uno dei tramonti più rossi che abbia mai visto e che incendia tutto l’orizzonte. Sembra una esplosione atomica. La foto non rende, purtroppo.
1 agosto - tra il treno e San Francisco
Nella notte ci fermiamo a Salt Lake City e il treno quasi si svuota.
Quando ci svegliamo siamo in Nevada. Il paesaggio continua ad essere western style. Siamo in ritardo di quasi due ore, accidenti. Considerata la non velocità del treno, non riuscirà a recuperare. Ma il capo treno dice che non ci saranno problemi x il bus da Emeryville a San Francisco. Dice: “I worry, you relax”. Bene, allora stiamo tranquilli, anche se spesso il traffico merci fa rallentare se non addirittura fermare il nostro treno.
Tra il Nevada e la California c’è la Sierra Nevada e infatti il paesaggio torna di nuovo verde, pieno di conifere, di fiumi e di laghi, di pescatori, di canotti per il rafting, di casette in legno in mezzo al verde, di pick up che scaricano barche nel fiume, di tralicci della luce che sembrano ancora quelli della corsa all’oro…
Nel mezzo della Sierra Nevada il capo treno annuncia con molto entusiasmo che siamo entrati nello stato della California, il golden state.
Il capotreno, che fa praticamente anche da guida, ci segnala un bel lago sulla destra ( la prima foto qui sopra) che da’ il nome al Donner pass (2100 mt), il punto più alto raggiunto dal treno sulla Sierra Nevada.
Il treno va talmente piano che riusciamo a vedere ogni singolo paese che attraversiamo con tutte le case tipiche di una location western.
Quando il solito capotreno annuncia all’altoparlante che la corsa riprende, si alza una ovazione tra noi passeggeri.
Finalmente arriviamo a Sacramento e poi infine vediamo il mare. Dico il mare e non l’oceano perché SF è su una specie di penisola e noi arriviamo dalla parte in cui lo specchio d’acqua è chiuso dalla striscia di terra su cui si trova la città. Il tratto che porta a Emeryville, la stazione finale, segue tutta la costa ed è la degna conclusione di questo tragitto.
A San Francisco non arriva il treno, bisogna prende un bus che attraversa la baia su un ponte (che non è il golden gate ma è molto grande e uno dei più lunghi al mondo) ed entra in città.
Aggiungo anche delle foto fatte dal ponte; c’era una luce strana che filtrava dalle nuvole.

Per me arrivare in California voleva dire arrivare al mare, in un paese caldo, con le spiagge, le temperature ideali, il sole sulla pelle… e invece arrivo in una città freddissima, dove spira un vento gelido e che non trovo per niente accogliente.
Sarà che dopo 54 ore di treno (o forse più) sono un po’ stanca, ma arrivare ed avere freddo non era quello che volevo.
Spero domani di cambiare idea su questa città.
2 agosto San Francisco (SF)
Lo shock della sera prima, legato al freddo polare, continua al mattino quando, uscite dall’albergo, ci troviamo coi marciapiedi (e il nostro albergo è in una zona centrale) pieni di homeless, di persone che urlano al vento o parlano da sole, altre strafatte di qualche droga (il fentanyl qui in USA dilaga). Nessuno sembra pericoloso però l’impatto è notevole…
Diciamo che per ora SF mi ha colpito in negativo. La temperatura è ancora ampiamente al di sotto della media.
Decidiamo di iniziare la giornata con il cable car, il tram che va su e giù per la città. Ormai ci sono solo tre brevi linee perché è una attrazione solo per turisti, però vale la pena prenderlo. Io viaggio sul predellino esterno, attaccata solo al palo. Evviva la sicurezza…Il tram ci porta a Fisherman’s wharf, la zona di SF che si affaccia sul mare, che è stata completamente risistemata nel 2013 in occasione dell’America’s Cup. Da qui partono i traghetti per Alcatraz, ci sono molti ristoranti in cui mangiare pesce (soprattutto il crab, il granchio, che qui trovi ovunque). Sulla strada invece che costeggia tutti i pier è pieno di venditori di strada, tutti sudamericani, soprattutto di hotdog o di frutta fresca.
Parlando con una donna del Guatemala, ci dice che la stretta sugli immigrati del nuovo governo riguarda soprattutto quelli che commettono reati. Se sei tranquillo, prosegui la tua vita di prima senza grossi problemi.
Essendo la zona forse più turistica di SF, il marciapiede è anche pieno di varia umanità che canta o suona. Ci fermiamo a vedere lo spettacolo di 4 ragazzi neri che ballano la breakdance o l’hip hop. Sono bravissimi e alla fine si meritano di essere pagati per il loro spettacolo. Mi sono detta: se posso evitare che entrino in una baby gang…
Lasciamo la affollatissima e turistissima zona del porto per tornare sull’itinerario che abbiamo fatto questa mattina. Attraversiamo Little Italy e arriviamo al confine con Chinatown, perché qui si trova una delle librerie più belle e sicuramente più storiche non solo della città: City Lights Bookstore.
Luogo magico nato negli anni 50 su iniziativa di tale Ferlinghetti, diventa punto di incontro di poeti e scrittori della Beat Generation. Ci perdiamo negli scaffali e io trovo un bel libro sulla storia degli Stati Uniti illustrato.
Ci addentriamo nella più grande Chinatown al di fuori dell’Asia. Ci imbattiamo in un negozio che vende tè in cui c’è un ragazzo con dei capelli che sembra uscito da un fumetto.
Prima di comprare il tè facciamo una degustazione. Ci sono altri due uomini ( che tutto avrei detto tranne che fossero esperti di tè) che alla fine spendono in tè una cifra considerevole. Anche noi degustiamo e compriamo un te’.
È arrivata l’ora di cena. Torniamo sui nostri passi perché stasera vogliamo mangiare italiano. La cena è buona ma il costo è un salasso. Conosciamo una coppia di Lissone con cui facciamo una passeggiata fino in centro e al nostro albergo.
Questa è stata una giornata lunghissima e ricchissima. Io sono riuscita a riconciliarmi con questa città. Anzi, ora la trovo frizzante e movimentata, anche se molto turistica. Qui abbiamo trovato i primi italiani.
L’unico cruccio con cui vado a letto stasera è il fatto di non essere riuscita a fare un giro sulle auto a guida autonoma (self-driver). Con un telefono italiano non si riesce a scaricare l’applicazione necessaria a prenotare un viaggio. SF è pienissima di queste auto (tutte Jaguar) che scorrazzano per la città con nessuno alla guida e telecamere su tutti i lati. Ma non demordo, domani ci riprovo.
3 agosto San Francisco
P.s. Un mio fedele lettore, Sergio, mi segnala che l’Italia è il maggior produttore di vino al mondo, anche più della California. Questo mi stupisce ma mi adeguo ai numeri.
6 agosto Los Angeles - Las Vegas (434 km)
Stato: Nevada
Il treno per Las Vegas non c’è (oppure non andava bene per la ns organizzazione, non ricordo); quindi percorriamo questo tratto su un bus della mitica linea Greyhound, con il caratteristico simbolo del levriero.
Partenza perfetta all’orario stabilito. Come sempre, organizzazione ineccepibile. Il driver del taxi di questa mattina (che ci porta alla Union Station) si chiama Carlos ed è messicano. Come quasi tutti gli immigrati qui, ha il permesso di lavoro, lavora, paga le tasse ma non è in regola coi documenti (non ha il papel) e quindi non può tornare in Messico, altrimenti non potrebbe rientrare negli States.
Il viaggio dura 6 ore. Una volta usciti da LA (l’area metropolitana è molto più grande e arriva a 18 milioni di abitanti ), la vegetazione così rigogliosa a ridosso della città sparisce e inizia il deserto del Mojave che ci accompagna fino a Las Vegas.
L’impatto appena scese dal bus è tragico: c’è un caldo fotonico, non umido ma tragico: oggi ci sono quasi 43 gradi. Del resto Vegas (come la chiamano tutti) è circondata dal deserto…
Con un altro driver di Lift (dello Sri Lanka che però vorrebbe andare a vivere in Virginia, più fresca) arriviamo all’albergo. È un albergo enorme, con una stanza enorme, con un sacco di confort e ovviamente con la sala da gioco interna.
Qui anche il check-in è automatizzato e fortunatamente ci aiuta una impiegata (brasiliana). Anche qui in Nevada, come in California, ci chiedono una caparra che ci verrà restituita al check-out , ma ovviamente dopo due, tre giorni… A SF ci hanno chiesto 250 dollari, a SB 100, qui a LV 100. Il fatto è che se continui a cambiare albergo, devi prevedere di rimanere con meno soldi a disposizione per qualche giorno. Noi non lo sapevamo.
Una volta preso possesso della nostra fantastica reggia (mediamente il doppio di quello che abbiamo avuto negli ostelli finora), usciamo e affrontiamo la temperatura esterna per percorrere la strip, cioè la via dove si trovano i più importanti alberghi (e quindi casinò di LV). Come risaputo gli alberghi si ispirano a periodi storici o luoghi famosi del mondo antico o presente; quindi prima visitiamo il Bellagio, costruito con marmo di Carrara, dove è stato messo uno specchio d’acqua che ricorda il lago di Como. Questo è il più elegante e infatti i negozi sono boutique di altissimo livello. Poi c’è il Cesar’s Palace, di ispirazione greco-romana, con colonne, fontane e una sala concerti che riproduce il Colosseo.
All’entrata avevamo visto il Luxor, con una piramide enorme e la riproduzione della sfinge; oppure la Parigi della Belle Epoque con una riproduzione della torre Eiffel.
Uscite da Venezia si è fatto buio e Las Vegas dà il suo meglio con miliardi di luci sfavillanti.
Descrivere invece la varietà di persone che abbiamo incrociato nel pomeriggio è impossibile; e non sto parlando di turisti ma di tutto quel popolo che sta attorno ai locali, ai casinò, agli spettacoli di ogni tipo, alla foto ricordo… per non parlare del mondo dei giocatori, ipnotizzati e assorbiti dalla loro malattia, spesso con la sigaretta in bocca perché qui si può fumare all’interno.
Vedere gente che sta ai tavoli da gioco con rotoli di 100 dollari in mano e gioca apparentemente senza alcuna resistenza, … colpisce.
Stato: Arizona
Oggi sveglia prestissimo perché alle 6 si parte per il Grand Canyon. Abbiamo scelto il West Rim perché è il più vicino a Vegas, ma come la distanza è notevole e oggi staremo impegnate circa 13 ore per questa visita guidata.
Qui sotto è The Sphere, una specie di teatro dove fanno spettacoli sul pianeta e il clima ma anche concerti, ecc.; al momento è la sfera più grande al mondo.
Dicevo del Grand Canyon. Non avendo l’auto dobbiamo affidarci ad una agenzia che organizza il tour e tutte le visite, oltre alla colazione e al pranzo. Oggi saremo il classico “gruppo vacanze Piemonte “… ma non abbiamo scelta.
Usciamo da LV e affrontiamo il deserto. Ci dicono subito che oggi farà caldo, più di 40 gradi; quindi ci siamo organizzati con acqua, crema solare e cappello. La vegetazione è appunto desertica e qui in particolare troviamo i caratteristici Joshua Tree (anche se c’è un parco dedicato a questi alberi), diventati famosi per la copertina di un disco degli U2.
Dopo una sosta per la colazione, la prima tappa è l’Hoover Dam, una diga che fornisce elettricità a Nevada, California e altri paesi limitrofi. Adesso non so ma per un po’ è stata la diga poi grande al mondo. Costruita tra il 1931 e il 1935 è l’esempio di una delle innumerevoli infrastrutture costruite per permettere agli USA di uscire dalla grande depressione del ‘29. Moltissimi si trasferirono qui per lavorare e crearono la città di Boulder, unica nel Nevada dove il gioco ancora adesso è vietato, perché allora gli operai non potevano distrarsi dalla costruzione della diga. Avevano due giorni all’anno di riposo; quattro anni di lavori, 8 giorni di riposo.
Il modo migliore per vedere il Grand Canyon è probabilmente l’elicottero, ma è troppo costoso, oppure facendo un trekking sul fondo, a livello del fiume Colorado. Il nostro tour prevede due punti di osservazione: il primo è Eagle point dove si trova lo skywalk.
Hanno costruito una passerella con il pavimento trasparente che fuoriesce sul canyon come un ferro di cavallo. La foto qui sopra dà l’idea della profondità del canyon. Fa un certo effetto camminare nel vuoto però gli americani si prendono un po’ troppo sul serio. Intanto l’ingresso costa 40 dollari, si può entrare solo con il cellulare (x le foto) e non con la macchia fotografica e nient’altro. Tutto devo essere lasciato fuori in un armadietto. Non è finita, per entrare bisogna indossare dei copri scarpa… per camminare su una struttura costruita pochi anni fa. Mi chiedo che cosa dovremmo far indossare noi x camminare nel Colosseo…
Nei dintorni ci sono delle riproduzioni di abitazioni degli indiani Hualapai; gli ultimi membri della comunità indigena aiutano a gestire questa struttura.
Con una navetta ci dirigiamo al secondo punto di osservazione, il Guano Point. Se già prima la vista era notevole, da qui è evidente la maestosità e la bellezza e la varietà di colori di queste conformazioni rocciose, antiche di moltissimi anni. Sembra che il Colorado ci abbia messo 5 milioni di anni a scavarlo. Si ha modo di vedere bene le anse del Colorado e tutte le stratificazioni e i colori della pietra.
Il caldo pur essendo secco è fortissimo sulla pelle; fortunatamente ci sono delle tettoie dove si evita non il calore ma almeno il sole. Il vento forte che soffia è ugualmente caldo.
La visita si conclude e ora ci aspetta un lungo ritorno verso Las Vegas.
La sera facciamo un ultimo giro per la Strip. Domani lasciamo la città e per farci un’ultima idea di quella che viene chiamata Sin City, la città del peccato, giriamo nel casinò del nostro albergo a guardare persone assolutamente normali, vestite come se andassero a fare la spesa o stessero facendo i mestieri di casa scommettere (e poi perdere) centinaia e a volte migliaia di dollari.
8 agosto Las Vegas- Los Angeles ( 434 km) e Los Angeles-New Orleans (3046 km)
Stati: Nevada, California, Arizona, Nuovo Messico, Texas, Louisiana
Oggi giornata dedicata agli spostamenti. Lasciamo Las Vegas e il nostro fantastico albergo e ci dirigiamo al terminal dei Greyhound. Il tassista di oggi è di origine
filippina e, fortunato lui, ha già la cittadinanza USA.
La partenza del bus era fissata per le 10 ma purtroppo l’autista si palesa alle 11… alla fine arriveremo a LA con due ore di ritardo. Oggi è venerdì e il traffico, anche sull’autostrada, è molto intenso. Fortunatamente avevamo fissato il treno la sera tardi per evitare appunto di perdere quella che sarà la nostra ultima tratta in treno, da Los Angeles a New Orleans.
Il viaggio in bus, a parte il ritardo, è stato caratterizzato da un autista che era singolare e io non sempre mi sono sentita tranquilla. Considerato che qui ti salutano sempre con l’espressione safe travel…
Prima di prendere il treno ci concediamo una birra al bar della stazione. Un gruppo di uomini sta vedendo la partita di baseball. Socializziamo con uno. Ormai questa è una costante di tutti i locali in cui siamo andate: la tv accesa quasi sempre sul baseball.
Eccoci quindi sulla banchina a prendere il Sunset Limited su cui passeremo le prossime 48 ore (in teoria 46 visto che guadagniamo due ore di fuso orario).
Si parte alle 10 di sera; così, dopo aver mangiato, è già l’ora di dormire. Fuori è già buio pesto.
9 agosto - sul treno verso New Orleans
Ci svegliamo in Arizona. Il paesaggio è prevalentemente desertico ma a volte la vegetazione diventa verde, per lo più arbusti bassi e molti cactus. Qualche basso rilievo sullo sfondo.
Superata Tucson, attraversiamo il New Mexico e, in corrispondenza della città di El Paso, entriamo in Texas. Leggiamo che x un po’ di anni è stata considerata la città più sicura degli States, anche se qui passa il Rio Grande, fiume che compare spesso nei racconti di coloro che a piedi cercano di passare il confine col Messico. Dall’altra parte del fiume infatti c’è Ciudad Juarez, una delle città più pericolose al mondo.
Dopo El Paso si susseguono per un bel po’ le coltivazioni di noci pecan, molto diffuse qui ma in genere molto presenti nei cibi che si trovano negli states.
Trascorriamo il tempo dell’aperitivo e della cena nella sala panoramica. Così mentre vediamo il sole che tramonta su questa terra estesissima (del resto il treno si chiama Sunset), familiarizziamo con una donna nata in California e cresciuta in Texas ma di origine messicana e con una coppia che sono un mix di statunitensi, messicani ma anche nativi. Sono i primi che si sbilanciano apertamente contro il loro presidente, la sua aperta ostilità contro i migranti e, in generale, il fatto che non cura gli interessi del popolo americano.
Quando cala la notte siamo ancora in Texas e lo saremo anche domattina.
10 agosto New Orleans
E infatti ci svegliamo in Texas, stato che però oggi è molto verde. Si susseguono una fattoria dopo l’altra, tutte molto ordinate e distanti una dall’altra.
Oltrepassiamo un enorme lago che è il lago di Houston (abbiamo da poco lasciato la città di Houston) e dopo un po’ lasciamo finalmente l’enorme Texas, lo stato più grande degli USA, ed entriamo in Louisiana.
Questa mattina ho parlato un po’ con la moglie della coppia che ha una certa % di sangue nativo. Anche lei si occupa di drug addiction; mi racconta dei disastri che sta facendo il fentanyl negli States in questo momento e di quanto spesso il suo effetto sia letale. E stiamo parlando di una droga che quando è nata era un farmaco antidolorifico che il sistema sanitario statunitense non è più stato in grado di controllare.
Mi parla anche di un’altra droga che io non conosco, estratta da una pianta, che si chiama Kratom e che spesso si assume sotto forma di liquido verde.
Abitando tra le città di Phoenix e Tucson, le due città più importanti dell’Arizona, lei lavora principalmente da remoto. Qui la cura è fatta da tre fasi: la prima di disintossicazione, la seconda residenziale (le nostre comunità) e la terza è quella in cui lei lavora, soprattutto coi familiari.
A parte un ritardo (avuto a dire il vero col bus), l’unico vero disguido col treno l’abbiamo avuto oggi che percorriamo la nostra ultima corsa con Amtrak. C’è stato un deragliamento e quindi stiamo fermi in mezzo alla Louisiana in attesa di ripartire per 3, quasi 4 ore. Quindi invece di arrivare dopo cena arrivavamo in albergo nella notte. Sobh…
11 agosto New Orleans
Dopo l’arrivo avventuroso e il sonno che non ha completamente ristorato i due giorni in treno, affrontiamo questa città a cui possiamo dedicare solo un giorno.
Il nostro albergo è nel French Quarter, il cuore di questa città, cioè la parte più antica che risale al 1700. Anche se si chiama francese questo quartiere è stato più influenzato dagli spagnoli, almeno e soprattutto fino al 1803 quando la Louisiana è diventata degli Stati Uniti.
Purtroppo il Mississippi non si vede mai all’orizzonte perché c’è davanti un muro. La ragione ovviamente è impedire all‘acqua di allagare la città in caso di uragano o alluvione.
Case coloratissime, balconi in ghisa, musica che esce dai locali anche al mattino. Si vedono le classiche cartoline viste in tutti film e telefilm ambientati qui.
La visita guidata che abbiamo scelto è al quartiere Treme’, accanto al Vieux Carré (il French quarter in francese), una zona ancora fuori dalle classiche rotte turistiche, caratterizzato da alcuni locali dove è nato il jazz o case in cui hanno abitato i primi suonatori di jazz, tutti in qualche maniera collegati agli schiavi o a persone affrancati dalla schiavitù.
Qui si inserisce anche il mondo creolo, risultato di ibridazioni di coloni francesi e/o spagnoli con popolazioni indigene o afroamericane. Un grande mix!
La nostra guida ci accompagna in lingua francese ma quello che dice è molto comprensibile. Ci porta anche da una pretessa woodoo che lavora nel retro di un negozio pieno di tutte chincaglierie religiose o pseudoreligiose; si passa dalla Madonna a Gesù Cristo, fino a tutte le maschere africane o caraibiche, a teschi e bamboline varie, il tutto disseminato da dollari di carta infilati in ogni dove. Dopo averla sentita parlare della sua vita (devo dire in maniera un po’ delirante) me ne vado con l’idea di aver assistito ad un teatrino per turisti e basta.
Oggi il caldo e l’umidità sono spaventatosi e il tour si svolge nelle ore più calde…
Salutiamo la nostra guida e andiamo a vedere un quartiere meno frequentato, a Saint Charles, più elegante e con case molto elitarie, affiancate ai grattaceli.
Quindi torniamo al French quarter e in particolare a Bourbon street, la sua strada più rappresentativa. I locali ormai si sono tutti animati e la musica arriva da ogni dove.
Noi andiamo a bere qualcosa in un locale dove suona un gruppo jazz. Sono bravi ma noi siamo stanche e dopo un po’ andiamo a nanna.
Domani si parte.
12 agosto New Orleans- New York (in linea d’aria circa 2090 km)
Il nostro cerchio si sta per chiudere con il ritorno a NY. È praticamente dalla California che sentiamo parlare ugualmente l’inglese e lo spagnolo; tutta questa parte di cittadini US è perfettamente bilingue. A NY decisamente meno; il tassista di new Orleans di questa mattina era domenicano.
Se togliamo l’ambiente attorno a Bourbon street, molto turistico oppure legato al mondo dei bar per soli uomini se non proprio della prostituzione, New Orleans è una città interessante, piacevole mentre si passeggia vicino al Mississippi o nelle piccole strade ricche di alberi e fiori di ogni tipo, osservando le bellissime case colorate, in legno di stile coloniale, con la veranda, il ventilatore a pale che funziona perennemente e le lampade a gas, anche loro accese h24.
Fortunatamente l’uragano Katrina non è arrivata fino al French quarter ma ancora adesso, dopo 20 anni, la gente ne parla e numerose sono le foto che ricordano quel disastro.
Si torna a NY dove abbiamo due giorni intensi di cose da fare, ultimo colpo di coda di questo viaggio. È il motivo per cui abbiamo scelto un volo aereo da NO a NY. In treno ci avremmo impiegato tre giorni, passando di nuovo da Chicago. Non aveva molto senso…
Arriviamo a metà pomeriggio, anche perché a NY perdiamo un sacco di tempo ad entrare in città dall’aeroporto LaGuardia e a raggiungere il ns albergo, che è a west Manhattan, dall’altra parte. Mollate le valigie, cerchiamo di orientarci di nuovo con la metro, perché dobbiamo raggiungere il punto di partenza del tour notturno per NY, prenotato per stasera.
Prima ci concediamo un caffè serio, un espresso, in un bar Lavazza. Due caffè in piedi al bancone, 10 dollari e 78 cent. Siamo tornate ai prezzi di ny…
Il tour notturno è stato uno dei nostri migliori investimenti. Ci ha permesso di vedere zone di questa città che altrimenti, con poco tempo a disposizione, non saremmo riuscite ad organizzare in autonomia.
La prima tappa è il Grand Central Terminal, la più grande stazione ferroviaria del mondo. Noi col treno eravamo partite dalla Penn station ma questa, fatta costruire da Vanderbilt e poi modificata nel 1913, è veramente maestosa e molto elegante. Sulla facciata ha anche un orologio Tiffany.
La seconda tappa, una volta costeggiato il Central Park, è la quinta strada. Qui però non ci fermiamo ma la percorriamo sul bus e osserviamo le vetrine delle boutique, oltre alle luci dei grattacieli che spiccano nella notte.
Passiamo da Chinatown e da Little Italy per andare verso il quartiere di Brooklyn.
La terza tappa è Brooklyn, in particolare la zona dei docks davanti all’Hudson che, ristrutturata negli ultimi anni, è diventata zona di ristoranti e locali. Ma il motivo per cui veniamo qui è la vista che si ha del ponte di Brooklyn e dello skyline di NY. Senza parole.
Da lontano si vede anche la Statua della libertà con la torcia illuminata, ma servirebbe un teleobiettivo per prenderla.
Il giro si conclude a Time Square con un tripudio di luci e cartelloni colorati.
Per oggi la giornata è finita finalmente.
Affrontiamo la metro e riusciamo a tornare all’albergo senza perderci.
12 agosto New York
Oggi abbiamo fissato due visite, una al mattino e una al pomeriggio.
Alle 9 apre il Visitor Center delle Nazioni Unite. Ci siamo già registrate online ma dobbiamo ritirare il badge. Oggi abbiamo la visita guidata dentro l’headquarter dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, sulla prima strada, con vista sull’East River.
La nostra guida è un dipendente UN di origine coreana. Ci spiega ovviamente la storia dell’ONU e la carta su cui si basa il suo lavoro. Poi ci conduce a visitare alcune sale in cui si riuniscono le varie commissioni; ma i luoghi più topici di questo edificio con la sala del consiglio di sicurezza e la sala dell’Assemblea Generale.
So benissimo che le Nazioni Unite andrebbero riformate perché così non funzionano (questa è la mia opinione, non quella del funzionario ovviamente) o almeno non sono efficaci come dovrebbero, ma stare nei luoghi dove vengono prese decisioni che possono influenzare (in meglio, si spera) la vita di milioni di persone è veramente una emozione indescrivibile.
Oltre ad alcune mostre monografiche, una dedicata ad esempio a Srebenica, c’è molta attenzione al traffico di armi e all’Agenda 2030 e ai 17 obiettivi strategici.
Uscite dalle Nazioni Unite, andiamo verso la Quinta strada. Abbiamo appuntamento a pranzo con una ex collega di Rosi che lavora a Ny da 10 anni per un marchio di moda.
Ci racconta di come sia diventato difficile il clima per i non cittadini, anche per una come lei che è legale e ha la green card da tre anni.
L’impegno del pomeriggio è il MOMA, Museum of Modern Art. Innanzitutto ci focalizziamo solo su un piano, quello dove ci sono i pezzi più importanti e famosi. Il museo ovviamente è molto affollato. Anche qui vi sottopongo alcuni dei pezzi che più mi sono piaciuti.
Intanto ci sono moltissimi Picasso, tra cui le famosissime Le Demoiselles d’Avignon del 1907:
Poi troviamo due Van Gogh stupendi, tra cui la famosissima notte stellata (1889):
Poi De Chirico, Modigliani, i futuristi Balla e Boccioni, pop-artist Liechtenstein e Andy Wharol, i messicani Diego Rivera e Frida Khalo, Seurat del puntinismo francese, e poi Chagall:
Uscite dal museo ci dirigiamo verso Central Park ma ad un certo punto inizia a piovere e non svuole smettere. Tutto quello che ci serve per la pioggia è in albergo. Una volta in camera si scatena su Ny una tempesta di pioggia con un vento fortissimo, che però dopo un po’ si placa.
14 agosto New York
Ultimo giorno a NY. Stasera abbiamo il volo.
Tra i miei desiderata c’era di fare la High Line, una vecchia linea ferroviaria sopraelevata dismessa nel 1980 e adesso ristrutturata e trasformata in un sentiero che attraversa Chelsea, tra i grattacieli e alcune palazzine più basse, a fianco del quale hanno piantato alberi e fiori di ogni tipo, trasformandolo in un serpente verde di quasi tre km. in mezzo alla città, che offre la vista anche sull’Hudson River.
Scese dall’High Line, andiamo verso l’Hudson con tutti i pier che fanno da marina- credo - di NY. In particolare notiamo il pier 57, che offre una vista sulla skyline da una parte di Manhattan e dall’altra di Brooklyn, in mezzo il ponte e la statua della libertà. Anche se lontana, si vede.
Dentro il Pier, anche questo ristrutturato, ci sono alcuni ristoranti molto carini. Noi però oggi vogliamo andare al Chelsea Market, un altro vecchio edificio ristrutturato al cui interno adesso ci sono negozi e ristoranti.
Uscendo dal Pier vediamo che c’è un ingresso con guardie e metal detector che porta al piano superiore con una enorme scritta GOOGLE. È un workspace della nota azienda; si vede che non tutto è nella silicon Valley.
Arrivate al Chelsea Market, vediamo che è molto affollato; diciamo che non siamo le uniche turiste che hanno avuto questa idea, tra cui moltissimi italiani.
Troviamo un ristorante che ci offre un lobster roll veramente ottimo, che accompagniamo con un bianco italiano. Chiudiamo il pranzo con un dolce portoghese, facciamo un ultimo giro del mercato e raggiungiamo la metro per tornare in albergo a recuperare i bagagli.
Al JFK andremo coi mezzi pubblici: dall’albergo un bus ci porta alla metropolitana che, dopo quasi un’ora di viaggio (!), ci connette con l’Air train, il treno cioè che ci porta al JFK, enorme, 7 terminal. L’odissea del rientro non è ancora terminata, perché dopo il check in facciamo almeno un’ora di coda per passare la dogana (foto di rito). Una volta imbarcati, sembra ci sia un problema medico di qualcuno a bordo, quindi partiamo con un’ora e mezza di ritardo. Finalmente salutiamo gli Stati Uniti.
Concludo la giornata con la foto di questa Smart della polizia newyorkese che mi ha fatto morire se paragonata alle auto gigantesche che girano da queste parti.
Nei prossimi giorni scriverò una conclusione di questa avventura.
Per ora qualche numero.
13434 Km percorsi sul suolo statunitense, di cui 9053 in treno, 2291 in bus, 2090 in aereo
4 fusi orari
16 Stati attraversati: New York, Massachusetts, Pennsylvania, Ohio, Indiana, Illinois, Iowa, Nebraska, Colorado, Utah, Nevada, California, Arizona, Nuovo Messico, Texas, Louisiana
8 Città visitate: New York, Boston, Chicago, San Francisco, Santa Barbara, Los Angeles, Las Vegas, New Orleans
7 Mezzi di trasporto usati: aereo, treno, bus (Greyhound e Amtrak), metropolitana (sotterranea e sopraelevata), Lyft, traghetto, tram
7 Tour guidati: l’architettura di Chicago, storie di gangster e fantasmi a Chicago, tour di Beverly Hills a LA, tour guidato del Gran Canyon, il mondo Creolo a New Orleans, il tour notturno a NY, le Nazioni Unite a NY
3 Musei visitati: Art Institute di Chicago, MOMA di New York, museo dell’Immigrazione di New York
Conclusione (1a parte)
La prima parola che mi viene in mente nello stilare questa conclusione è GRANDEZZA. Gli Stati Uniti sono un paese geograficamente enorme, e se questo paese lo attraversi in treno o bus, di queste distanze te ne accorgi, eccome. Il paesaggio varia più volte così come anche il clima: il freddo di San Francisco, il caldo secco del Grand Canyon, il caldo afoso delle metropoli, il caldo piacevole della California. Il deserto, i campi coltivati, le praterie con qualche mucca, i grattacieli, le fattorie, le case sperdute nel nulla, le colline, le foreste, i cactus, i fiumi enormi.
La seconda parola è DIVERSITÀ. In questo paese ho incontrato persone che arrivavano da ogni angolo del mondo (l’ultimo tassista a NY era nepalese) e qui hanno trovato la loro opportunità, anche se poi continuano a parlare lo spagnolo o parlano male l’inglese. Senza l’immigrazione questo paese non esisterebbe.
Qualcuno (mio nipote Riccardo) dice che sono venuta a cercare qualcuno che parlasse male di Trump. Ovviamente non è vero, però ero curiosa di vedere questo paese che l’ha votato. Ho capito però che agli statunitensi della politica non interessa granché, non interessa parlare di politica e non fa molta differenza se al potere c’è Trump o Capitan America. La loro vita va avanti lo stesso. Sanno che se vogliono vivere a Manhattan 100mila euro di stipendio all’anno non bastano (detto da chi abita lì, non è una mia supposizione) e quindi stanno in periferia e fanno i pendolari. Oppure vivono in quella enorme dimensione che è la provincia americana, la fly-over country, l’America di mezzo, quella che chi se lo può permettere o i turisti sorvolano in aereo. Oppure non ce la fanno e sono quelli che trovi sui marciapiedi, nei parchi, sui mezzanini della metro, strafatti di qualcosa o, se va bene, in coda a prendere da mangiare e da bere offerto dalle associazioni che aiutano quelli sulla strada. Anche questa è diversità.
A proposito di diversità, tre paia di scarpe americane… che dire…?!
BIBLIOGRAFIA utile a conoscere un po’ questo paese
- “questa è l’America. storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro” Francesco Costa, ed Mondadori, 2021
- “Sparire qui. Un viaggio nel cuore degli Stati Uniti attraverso incontri, pagine di letteratura e sogni americani“, Marta Ciccolari Micaldi, ed Rizzoli, 2023
- “Notizie da un grande paese”, Bill Bryson, ed Guanda, 2017
- J. D. Vance, “elegia americana”, ed Garzanti, 2020
- Mauro Buffa, “USA COAST TO COAST Da New York a San Francisco in Greyhound attraverso 15 stati, quattro fusi orari e un uragano”, ediciclo editore, 2015
- “Storia degli Stati Uniti. La democrazia americana dalla fondazione all’era globale”, Giovanni Borgognone, Feltrinelli ed., 2021
- Federico Rampini, “America”, Solferino, 2022
- David Foster Wallace, “la scopa del sistema”, Einaudi (2008, ma è un libro del 1987)
- “America Redux- visual stories from our dynamic history”, Ariel Aberg-Riger, Harper Collins Publisher, 2024
- Guida del National Geographic Traveler
- Postcast sul fentanyl del Sole24ore e di Biagio Simonetta “la molecola del diavolo”